In questo seminario del 2009, dopo una breve introduzione, si affronta il tema del rapporto tra oralità e scrittura in una pratica filosofica, segnatamente in una consulenza filosofica.
Si possono proporre letture ai nostri consultanti? E, se si, come “giocarle” all’interno della pratica? Quale ermeneutica mettere in campo?
Non si può certamente trattare di un approccio filologico, ricostruttivo della mens auctoris, del vissuto e delle intenzioni di chi scrisse.
Non si può neppure trattare di un approccio ermeneutico, nel senso dell’ermeneutica accademica contemporanea, à la Gadamer, perché il “circolo ermeneutico” che verrebbe messo in campo, anche se mette in gioco il nostro orizzonte di senso, cerca comunque di interpretare e di rendere conto storicamente del “mondo” di cui il testo reca testimonianza.
No, si deve trattare di un approccio simile a quello adottato da Gesù, quando leggeva “la legge e i profeti”, o di Rama Maharshi, quando gli si proponevano testi brahmanici: l’interprete legge la scrittura (le Scritture) alla luce della propria personale esperienza di verità, che quella scrittura illumina, ma dalla quale soprattutto essa riceve luce.
Si tratta, in ultima analisi, dell’ermeneutica classica, adottata presso tutte le culture premoderne ed extraeuropee. a cominciare dagli stessi filosofi greci quando introducevano nel proprio discorrere frammenti di discorsi altrui, orali o scritti che fossero, per farli risuonare all’interno del proprio discorrere o dialogare.
Non si tratta di forzare l’interpretazione di un testo, ma di restituire al testo la sua originaria valenza di tessuto di significanti, piuttosto che di significati, affidato, come un messaggio dentro una bottiglia, al mare magnum di tutte le interpretazioni possibili.
Non si tratta affatto, cioè, di una lettura meno scientifica di quelle che vanno per la maggiore in ambito accademico, posto che nessuna lettura è davvero in grado di restituire la mens auctoris.
Si tratta della sola lettura, apparentemente ingenua, capace di restituire dignità a ciò che la scrittura è sempre stata eminentemente (pensiamo alla grande letteratura o al teatro): un formidabile pre-testo per un’indagine volta a conoscere se stessi.