Peccato e grazia in Agostino

peccato originale

La vita di Agostino esemplifica bene la conversione al cristianesimo di un pagano nutrito di cultura filosofica.

Dopo una gioventù dedita alla ricerca del piacere e del successo mondano Agostino si converte al manicheismo, eresia cristiana secondo la quale saremmo tutti attraversati dal conflitto tra bene e male senza possibilità di scegliere autonomamente a quale dei due aderire.

Rendendosi conto dei limiti di questa prospettiva dogmatica, nella quale, secondo la terminologia platonica, semplici ipotesi venivano scambiate per principi, Agostino aderisce poi allo scetticismo (secondo il quale non sarebbe possibile dimostrare alcunché di vero).

Infine, aderisce a una concezione neoplatonica (legge Plotino in traduzione latina) che gli apre la mente all’ipotesi dell’estasi (un attingimento della verità al di là della ragione e dei suoi limiti noti a Platone e agli scettici).

Cfr. questa fiction Rai su Agostino.

Agostino

Dove si situano, dunque, in lui i tratti caratteristicamente cristiani? Non tanto ancora nell’intuizione del ruolo dell’amore, ancora di matrice platonica, né nella confutazione dello scetticismo, pure di origine platonica (cfr. la confutazione socratica del relativismo sofistico), tanto meno nelle dottrine delle idee e dell’ordine del creato, del tutto assimilabili alle concezioni di Platone e Plotino.

L’intuizione che spiega la conversione di Agostino al cristianesimo è la seguente: l’uomo non potrebbe raggiungere la verità oltre la ragione (nell’estasi) con la sue sole forze, per quanto la desideri (ne sia innamorato), se Dio non gli venisse in aiuto con un amore più grande di quello di cui l’uomo è capace. All’èros platonico subentra l’agàpe (caritas) cristiana: un amore che non deriva dall’attrazione per il bello, ma dal desiderio del bene per ogni più piccolo frammento della creazione.

Agostino_piegato

La necessità della grazia di Dio (che culmina nell’incarnazione di Dio stesso in Gesù Cristo, crocifisso, morto e risorto per amore nostro), cioè che la felicità ci sia donata, dipende dalla nostra impotenza a raggiungerla con le nostre sole forze (contro quanto avevano insegnato tutti i filosofi greci), esercitando p.e. , come avrebbe detto Aristotele, le virtù etiche e dianoetiche (come sosteneva che ci si potesse limitare a fare il monaco Pelagio, responsabile della diffusione dell’eresia del pelagianesimo). Questa impotenza a “salvarsi da soli” è rappresentata dal racconto del peccato originale, che ci rende tutti meritevoli di dannazione, in mancanza di un intervento di Dio.

D’altra parte per conseguire la salvezza non possiamo fare a meno di esercitare il nostro libero arbitrio. A questo fine, tuttavia, contro l’intellettualismo socratico (secondo il quale non si fa se non ciò che ci sembra bene), la conoscenza non è sufficiente: occorre la nostra volontà sostenuta dalla grazia. In altre parole possiamo benissimo fare il male pur sapendo che è male, perché non abbiamo la forza di resistere ai nostri vizi. Come dice San Paolo: “Non ciò che voglio io faccio, ma ciò che non voglio”. Di qui ancora l’importanza della grazia e dei sacramenti attraverso i quali la Chiesa (e solo essa) la somministra (ancora una volta qualcosa di più grande del singolo, peccatore, impotente a salvarsi da solo, contro l’eresia di Donato, combattuta nel concilio di Cartagine).

Per quanto riguarda l’interpretazione delle scritture possiamo collocare Agostino (e più in generale i Padri latini, da cui sarebbe stata ispirata soprattutto la Chiesa cattolica romana) a mezza via tra l’approccio “platonizzante” (estremizzato dallo gnosticismo), tipico dei Padri soprattutto greci (ed ereditato, in una certa misura, dall’attuale Chiesa ortodossa) e quello storico-critico (che sarebbe stato promosso soprattutto in età moderna dai protestanti). Anche Agostino tende a interpretare la Bibbia allegoricamente (sull’onda del Credo definito dogmaticamente nel IV sec.), ma concepisce senz’altro letteralmente e storicamente (non come mero simbolo) la morte e resurrezione di Gesù.

Per quanto riguarda il rapporto tra ragione e fede, in generale, Agostino pensa che al di sopra della ragione non si arrivi tanto con l’intelligenza, sia pure “ispirata”, come in una concezione puramente platonica, quanto con la fede (nelle Scritture), suscitata dalla grazia. In generale per comprendere bisogna iniziare dal credere (che quello che ci si sforza di intendere abbia senso). Inversamente, per credere è necessario comprendere (come testimonia lo stesso Agostino, giunto alla fede dopo avere sperimentato la filosofia: la fede risolve i problemi che la filosofia non era riuscita a risolvere). Insomma è come se Dio ci comandasse:

Intellige ut credas, crede ut intelligas.

di Giorgio Giacometti