Per quanto riguarda la Magna Charta Libertatum, concessa in Inghilterra da Giovanni senza terra nel 1215, un anno dopo la sconfitta di Bouvines, è interessante la riflessione effettuata dallo storico Igor Mineo in questa intervista.
La Magna Charta è stata considerata, soprattutto dopo la rivoluzione inglese del Seicento, all’origine del costituzionalismo inglese e, in generale, moderno.
In realtà, nelle intenzioni del re e dei baroni, si trattava probabilmente soltanto di un accordo in base al quale venivano concessi determinati privilegi (diritti speciali) in cambio della fedeltà dei sudditi (essenzialmente baroni, città e la Chiesa) al sovrano (una pratica diffusa nella cultura feudale, che, sul continente europeo, dava spesso luogo, come sappiamo, a una frammentazione del potere, per il numero eccessivo di “immunità” e poteri concessi ai vari poteri locali: signori feudali, comuni ecc.).
Tuttavia, in Inghilterra la situazione era differente.
Fin dalla conquista dell’isola nel 1066 da parte di Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, fu bensì importato il feudalesimo, ma in una forma “originale” e “originaria” che ancora non conosceva processi di frammentazione del potere. Basti pensare alla figura dello sceriffo (già esistente durante le monarchie anglosassoni), funzionario del re nelle shires, amministratore della giustizia (potere che, dunque, non veniva delegato ai baroni, come, viceversa, sul continente veniva spesso attribuito ai “signori di banno” o da questi usurpato) o alla figura del balivo (presente anche nella monarchia francese, accanto a quella del “prevosto” o praepositus), altro funzionario del re, incaricato nei territori di sovrintendere all’amministrazione finanziaria.
Con la Magna Charta, in continuità con questa tradizione “centralistica” (fino a un certo punto simile a quella che contraddistingueva lo sviluppo della Stato in Francia), il potere non viene frammentato (quasi che venisse data maggiore autonomia ai baroni nei loro domini privati), piuttosto esse viene condiviso, centralmente, tra i re e i baroni.
- In particolare l’art. 39 introduce quello che si sarebbe chiamato l’habeas corpus, ovvero il diritto dei sudditi di non essere arrestati o, comunque, puniti senza regolare processo, nel quale ciascuno possa essere giudicato dai propri pari (prima fondamentale libertà personale, che sarebbe poi stata rivendicata dal liberalismo, accanto alla libertà di pensiero, parola, stampa, associazione ecc.),
- mentre l’art. 61 istituisce il consiglio dei 25 baroni a cui sono demandati compiti di controllo dell’esercizio del potere regio, embrione del futuro parlamento (sorto qualche decennio dopo e che già distinguerà tra camera dei lords, cioè dei rappresentanti degli stessi baroni, e camera dei comuni, cioè dei rappresentanti delle città).
Sotto quest’ultimo profilo, anche se “involontariamente”, si può ben dire che la Magna Charta sia all’origine del moderno costituzionalismo, ossia della dottrina politica, strettamente collegata al citato liberalismo, secondo la quale, proprio per garantire le libertà fondamentali dei sudditi, bisogna che i poteri dello Stato siano reciprocamente limitati (ad esempio il potere giudiziario sia separato da quello esecutivo – i giudici non coincidano con i poliziotti, per intenderci – e quello legislativo, a sua volta, da quello esecutivo – il parlamento faccia le leggi e il re non possa violarle, ma si limiti ad applicarle – ).
Interessante anche l’informazione, fornita da Mineo, che la Magna Charta è ancora “vigente”, in qualche modo in Gran Bretagna e, soprattutto, negli Stati Uniti; in altre parole, non si tratta solo di un documento storico, ma di una viva fonte di diritto (come, in Italia, certi decreti regi, magari risalenti al Regno di Sardegna, non ancora abrogati e validi magari in ristretti ambiti, in quanto fissano obblighi da assolvere da parte di certi corpi dello Stato o simili; con la differenza che in Italia non risaliamo oltre l’Ottocento, mentre qui si tratta di una fonte del Duecento!).
Ci si può chiedere come ciò sia possibile. Il fatto è che nei Paesi anglosassoni vige la common law, ossia il diritto (originariamente consuetudinario) formato dalla c.d. “giurisprudenza”, ossia dalle sentenze via via emesse nei decenni (e nei secoli) dalla diverse corti giudiziarie sulla base, non solo di specifiche leggi approvate dal parlamento (gli acts), ma anche di principi “generali”, come quelli estraibili dalla Magna Charta. Ad esempio il principio (estraibile dall’art. 39 della Charta) secondo il quale ciascuno deve poter essere giudicato dai propri pari potrebbe venire ancor oggi applicato negli Stati Uniti da un giudice che ritenesse che una persona appartenente a una minoranza etnica non dovrebbe venire giudicato da una giuria costituita di soli bianchi di elevato ceto sociale.