A differenza che per Platone, secondo Aristotele l’essenza non è mai separata dalla materia (tranne nel caso degli dèi). Da un lato si ha scienza soltanto della forma delle cose (p.e. dell’albero o dell’uomo ecc.) in quanto specie o essenza (e delle loro qualità ecc. in quanto proprietà universali), – il “che cos’è” delle cose – dall’altro lato si sa che queste cose “esistono” solo in quanto sinoli (unità concrete, individuali) di una forma universale e di una di volta in volta determinata materia (che è anche il principio della loro moltiplicazione e individuazione) – il “chi è” delle cose –.
Ad esempio, il medico conosce che cos’è in generale un uomo e quali ne sono le proprietà (gli attributi essenziali), ma sa anche che quella che Platone chiamava “idea” di uomo (e che può essere rappresentata anche da un modellino anatomico di plastica o altro materiale) si “incarna” sempre in individui separati, costituiti da diversa materia (carne e sangue diversi l’uno dall’altro), anche se aventi la medesima forma (quella appunto umana).
Aristotele chiama ambiguamente “essenza” o “sostanza” sia la specie, sia l’individuo che portano lo stesso nome (sia “il cane che ora abbaia in giardino”, Fido, sia “il cane come migliore amico dell’uomo”, in generale).
Quando mi chiedo “Che cos’è questo?” e rispondo “Un libro”, restituisco l’essenza o sostanza. Ma “questo” è un individuo, mentre il “libro” è un’essenza universale. Aristotele è d’accordo con Platone che si ha scienza solo degli universali (le specie o essenze che Platone chiamava idee), ma questi “esistono” solo negli individui.
In un certo senso, anzi, dice Aristotele, la vera sostanza è l’individuo, perché è ciò che non si può predicare di nient’altro. Del cane, in generale, posso dire che abbaia, è un animale, è amico dell’uomo ecc. Di “questo qui” posso dire che è un cane (“essenza universale”). Ma non c’è alcunché di cui io possa predicare: “questo qui”. Se dico, il cane che cercavo è “questo qui”, in realtà il soggetto della frase è “questo qui” (e non può essere predicato di alcunché), mentre “il cane che cercavo” è il predicato (vi si allude ai cani in generale). In questo senso sostanza è quel soggetto che non può essere predicato di altro. Mentre le specie possono fungere nei giudizi sia da soggetto sia da predicato, gli individui possono fungere solo da soggetto (posso dire che “Socrate è uomo”, ma non che “l’uomo (come specie) sia Socrate”: Socrate, in quanto individuo, non può essere predicato di niente).
Ma si ha scienza solo attraverso i predicati, che hanno carattere universale (e, dunque, tutti possono intendere). Dunque non si ha scienza, in senso stretto, di individui,
Ad esempio, se di una persona dico che è “generosa”, so di lei qualcosa che vale per moltissime altre persone, qualcosa, cioè, che non può esaurire l’essenza della persona. Possiamo anche dire che conosco il “che cos’è” della persona, ma non il “chi è”. Aggiungi che, nel tempo, le qualità di una persona (ma questo vale per tutte le altre categorie), in quanto accidenti, possono variare. La sola cosa che non può variare è l’essenza della persona, in quanto “essere umano”. Se si pretendesse di “definire” una persona, così come si definisce p.e. l’acqua o un triangolo, si finirebbe, con linguaggio moderno, solo per “etichettare” quella persona, attribuendole rigidamente qualità, come se si trattasse di “proprietà” (essere buono, generoso, astuto, sciocco, diligente, scansafatiche ecc.), mentre si tratta solo di accidenti temporanei. Vero è che Aristotele, per quanto riguarda i personaggi p.e. dei drammi teatrali, si è occupato anche di “caratteri”, ossia di quell’insieme di “qualità” che contraddistinguono tipicamente un personaggio e che, spesso, contraddistinguono anche le persone in carne e ossa e ci aiutano a comprenderne il comportamento.