La dottrina aristotelica delle quattro cause

dado

Per comprendere meglio la teoria aristotelica della cause, a cui abbiamo alluso a proposito della critica di Aristotele al meccanicismo dei presocratici, discutiamo quali e quante cause richieda l’attuazione rispettivamente di

una sostanza (“cosa”) inanimata (p.e. un dado)

  1. forma o causa formale: la cosa stessa (p.e. il dado, come specie o essenza a cui l’individuo appartiene)
  2. scopo o causa finale: ciò per cui la cosa è essenzialmente fatta (p.e. il gioco)
  3. agente o causa efficiente: colui da cui la cosa è stata fatta (p.e. l’artigiano)
  4. materia o causa materiale: ciò di cui la cosa è fatta (p.e. il legno)

una sostanza (“cosa”) vivente (p.e. un uomo)

 

  1. forma o causa formale: la cosa stessa (p.e. l’uomo, come specie o essenza a cui l’individuo appartiene)
  2. scopo o causa finale: ciò per cui la cosa è essenzialmente fatta (p.e. ancora l’uomo, come specie o essenza [1] che mediante la riproduzione degli individui si conserva)
  3. agente o causa efficiente: colui da cui la cosa è stata fatta (p.e. ancora l’uomo, come individuo genitore)
  4. materia o causa materiale: ciò di cui la cosa è fatta (p.e. carne e sangue)

la sostanza divina, Dio

mancando la materia che (nell’interpretazione di S. Tommaso) consentirebbe di distinguere più individui aventi la stessa forma, agente, forma e scopo coincidono in Dio che è causa efficiente di se stesso e ha per scopo solo se stesso.

Nei viventi, dunque, che “sono” in senso più proprio e pieno delle “cose” inanimate (concepibili come aggregati di parti, dunque esistenti più “per convenzione” che “per natura”), tre delle quattro cause distinte da Aristotele coincidono (nella circolarità della riproduzione della forma/specie): la causa formale, finale ed efficiente, mentre la “materia” (p.e. carne e sangue) è sempre diversa (da individuo a individuo).

  • E la differenze nella forma tra un individuo e l’altro?

Aristotele le intende come accidentali e non essenziali.

Invece, nelle cose inanimate occorre distinguere la forma che esse hanno dalla funzione (il fine) per cui sono costruite. Poiché sono appunto “costruite” anche il costruttore (causa efficiente) differisce dal costruito.

In altro senso, tuttavia, anche la cosa inanimata può rivendicare una certa convergenza tra le sue cause. Infatti, la forma “ridonda” nell’agente come “disegno” nella mente dell’agente stesso. In un certo senso la causa efficiente può essere considerata l’idea della cosa nella mente del costruttore che, piuttosto che causa, può allora essere considerato un mezzo della costruzione. D’altra parte anche il fine di uno strumento è, in qualche modo, iscritto nella sua stessa forma, in quanto essa è tale per conseguirlo (p.e. nella forma di un martello è implicito o potenziale il fine del martellare).

Per approfondire quest’ultimo aspetto, con particolare riguardo alla necessaria similitudine tra causa ed effetto, in quanto entrambi viventi o comunque legati ad alcunché di vivente, si legga questo breve saggio.

Sulla rilevanza, che non è venuta meno dopo la “rivoluzione darwiniana” del XIX sec., della causalità finale si possono utilmente approfondire le ragioni per le quali Aristotele la ritiene irrinunciabile nell’interpretazione della natura:

[1] cfr. l’uso ancora diffuso di chiamare essenze le specie di alberi.

di Giorgio Giacometti