Ma in che cosa consiste esattamente la dialettica di cui parla Platone, la scienza suprema, che ci permetterebbe di cogliere il Bene come Principio? Come può tale scienza superare le critiche scettiche?
Platone scrive che la dialettica, a differenza della “matematica” (cioè della scienza in senso moderno), non scambia le ipotesi per principi (cioè per “verità”), ma le prende per quello che sono, semplici ipotesi. Il fatto che una teoria “funzioni”, come funziona una “sedia”, non significa che chi l’ha elaborata (lo scienziato, il matematico, come l’artigiano di Manzano) sappia che cosa sia quello che ha fatto.
La dialettica, quindi, in primo luogo, esercita la critica, il dubbio (lo stesso vedremo fare, nel Seicento, Cartesio, il primo filosofo moderno).
Invece di procedere dalle ipotesi alle conseguenze (come fa la “matematica” p.e. mediante sillogismi), la filosofia si domanda sulla base di quale ipotesi si può sostenere l’ipotesi e così via, alla ricerca di un principio, non più ipotetico, ma certo, che “spieghi” e “giustifichi” tutto.
Questa ricerca è simile a quella dei bambini nella cosiddetta fase dei “perché?”. Se prendiamo una qualsiasi cosa e chiediamo “perché è così?”, la prima riposta è spesso ricavata dalla scienza. Se, però, noi chiediamo perché la scienza dia quella determinata risposta e non un’altra (cioè perché la natura “funzioni” in un certo modo e non in un altro), spesso la scienza non basta più. Al secondo o terzo “perché” sfociamo già nella domanda filosofica.
Questa domanda ammette risposte definitive? Si direbbe di no. Ma è proprio così?
Ci possiamo chiedere se la filosofia arrivi a questo “principio” o alla “verità” dietro le diverse ipotesi. Ancora non lo sappiamo.
Sappiamo, però, che la filosofia deve cercare la verità. Se si partisse dal presupposto che la verità non esiste e che non si può uscire dalle opinioni e dalle ipotesi, si cadrebbe nello scetticismo.
Ma lo scetticismo si contraddice: infatti afferma come verità che non ci sono verità.
La filosofia è, piuttosto, ricerca della verità. Se non ci fidiamo delle ipotesi è perché presupponiamo che ci sia una “verità” (un “principio non ipotetico”) non soddisfatta dalle diverse ipotesi. Se non credessimo nell’esistenza di una verità, un’ipotesi o un’opinione varrebbe l’altra (relativismo, concezione tipica dei sofisti, ma anche degli scettici). Non avrei nessuna vera opinione, perché io stesso sarei il primo a credere che la mia opinione non sia più vera di quella degli altri. È evidente l’intima contraddittorietà di questa prospettiva. Dunque lo scetticismo va superato. Ma come? Ma in che modo il procedimento dialettico sfuggirebbe all’ipoteticità (dunque all’opinabilità)?