Che cosa presuppone l’etica di Epicuro? Che noi siamo il nostro corpo e nient’altro.
Per Epicuro l’anima (ossia la forza che tiene unito il corpo, che lo muove e che ci fa pensare) è corporea (costituita, come il corpo, di atomi, soltanto più sottili e pervasivi di quelli del corpo). Essa nasce e muore col corpo. Si ha sensazione soltanto finché anima e corpo persistono e persistono uniti.
Se l’anima, ad esempio, fosse immortale, il suo bene non coinciderebbe con la gratificazione del corpo, ma, probabilmente, con la liberazione dal corpo (come per Platone). Epicuro deriva la sua dottrina “atomistica” (materialistica) da alcuni filosofi presocratici (Leucippo e Democrito). Per il momento non approfondiamo tale dottrina, cercando le sue giustificazioni, ma limitiamoci a constatare un fatto: l’etica a cui si aderisce dipende strutturalmente dalla propria più generale visione del mondo (“filosofia”), ossia dalla nostra opinione su chi siamo (la nostra essenza), da dove veniamo (la nostra natura, ossia ciò da cui e con cui siamo nati), dove andiamo (il nostro fine o scopo). Per sapere che cosa dobbiamo fare (quale sia il bene che è saggio perseguire), dobbiamo conoscere noi stessi e, per conoscere noi stessi, non possiamo rinunciare a chiederci che cosa sia ogni altra cosa. Ecco perché la filosofia, come ricerca della saggezza, non può non porsi il problema del principio di tutte le cose e di noi stessi, ossia porsi le domande ultime sul mondo, Dio, la materia, insomma su tutto ciò che “è”
Segnaliamo, per ora, un problema dell’atomismo (che può essere riferito a ogni altra prospettiva rigorosamente materialistica o, come anche si può dire, meccanicistica). Come spiegare non solo la straordinaria varietà di “cose”, ma soprattutto l’apparente finalità dell’organizzazione dei corpi (soprattutto viventi)? Come è possibile, in altre parole, che gli atomi, combinandosi a caso, producano esseri viventi così complessi e organizzati, che sembrano, invece, obbedire a un progetto?
Un moderno tentativo di risposta a questo quesito è offerto dalla teoria darwiniana (XIX sec.) della selezione naturale dell’organismo casualmente più adatto (che sembra fosse stata anticipata da Empedocle di Agrigento nel VI sec. a. C.).
L’atomismo risponde a questo stesso quesito introducendo l’ipotesi che gli atomi siano in numero infinito, come infinito è lo stesso spazio (infatti, se incontrassimo un limite, il limite separerebbe il nostro spazio da un altro spazio, dunque ci sarebbe sempre dell’altro spazio oltre qualunque limite concepibile). Se gli atomi sono infiniti e il tempo che hanno a disposizione è infinito, essi si possono ricombinare in un infinito numero di modi, compreso il modo di cui facciamo esperienza attualmente, cioè il nostro mondo. Il quale, quindi, risulta spiegato.
In un celebre racconto lo scrittore argentino Luis Borges immagina, analogamente, una biblioteca, la cd. Biblioteca di Babele, contenente un infinito numero di volumi le cui pagine sono scritte attraverso tutte le infinite combinazioni possibili di un numero finito di lettere (21 o 26). Una simile biblioteca può raccogliere tutte le opere letterarie possibili (comprese, quindi, quelle reali che conosciamo), senza che sia necessario supporne alcun “autore” consapevole.
Queste soluzioni sono davvero soddisfacenti? Vi è chi non si rassegna a escludere dalla natura, specialmente vivente, principi organizzatori positivi, si annidano nelle aristoteliche cause finali o nei più moderni campi morfogenetici.
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