In conclusione possiamo ricordare che la filosofia greca, nel suo complesso, può essere paragonata (come il neoplatonismo, l’ultima grande filosofia pagana, può confermare) a una “moderna” religione. Non si tratta, infatti, di una specifica disciplina o di uno specifico sapere tra gli altri (come avviene oggi a scuola o anche all’università), perché il suo scopo è quello di trasformare la vita, non solo il pensiero, delle persone.
Ciò spiega perché, in questa prospettiva, la filosofia pagana fosse incompatibile con la trionfante religione cristiana.
La filosofia è, però, una religione “laica” o, per meglio dire, basata sulla conoscenza piuttosto che sulla fede o sull’autorità.
L’elemento religioso consiste nel fatto che colui che pratica una certa filosofia cerca di farlo “dalla mattina alla sera”. La sua filosofia lo condiziona in ogni istante e non gli consente, ad esempio, di aderire a prospettive politiche, religiose o anche personali (per esempio decidere se sposarsi o meno, se avere figli, se fare o non fare un certo lavoro ecc.) che non siano, prima, esaminate dalla sua filosofia.
I filosofi antichi sono interessati non tanto a dire cose nuove, a fare nuove scoperte (come i moderni professori di filosofia, autori di libri più o meno famosi), quanto a cercare la verità (ontologica, fisica ecc.) e, una volta (ri)conosciuta, agire di conseguenza (dimensione etica). Per un filosofo greco sarebbe assurdo avere una certa ontologia, ossia credere che le cose stiano in un certo modo, e comportarsi in modo incongruente rispetto alla propria ontologia. Chi agisse così, confuterebbe con la sua azione la sua dottrina e non sarebbe più credibile (cadrebbe in una contraddizione pragmatica, come Socrate, ad esempio, rimproverava a Protagora di fare, con il suo relativismo).
Se, ad esempio, sono epicureo e penso che tutto ciò che accade sia frutto del caso, perseguirò il piacere nei modi che Epicuro mi suggerisce. Il mio sforzo maggiore non consisterà tanto nel mettere in discussione la dottrina di Epicuro ed elaborarne una nuova, quanto nel cercare di applicare la dottrina del mio maestro alla mia vita.
Questo spiega, tra l’altro, perché i filosofi greci veramente originali siano stati relativamente pochi, mentre registriamo nel mondo antico numerose scuole (pitagorica, cinica, platonica, aristotelica, stoica, epicurea, scettica ecc.), spesso derivate l’una dall’altra, durate ciascuna per secoli (furono tutte chiuse nel 529 d. C. da Giustiniano perché giudicate incompatibili con la religione cristiana, che aveva una sua propria autonoma concezione del mondo). In ciascuna di queste scuole i maestri aiutavano i discepoli, attraverso il dialogo, a generare maieuticamente la stessa conoscenza di cui i maestri stessi si ritenevano in possesso (come sappiamo da Socrate, infatti, le conoscenze autentiche non si possono comunicare, ma solo suscitare nel proprio interlocutore).
Dunque il filosofo greco cerca non l’originalità, ma la verità e la coerenza tra pensiero e vita (a differenza di molti filosofi moderni).
- Ma come si fa a comportarsi nel modo giusto?
Non basta volerlo, occorre quella che i Greci chiamano “virtù” (in greco areté), ossia una disposizione costante ad agire bene, che può essere solo frutto di esercizio o allenamento.
Oggi paradossalmente ci esercitiamo nello sport o nello studio, per offrire prestazioni sempre migliori e più “automatiche” nei diversi campi, ma ci dimentichiamo di esercitarci a comportarci nel modo che noi stessi giudichiamo migliore nella vita in generale. Cadiamo così spesso nei vizi (cioè in cattive abitudini) da cui non sappiamo come uscire. L’etica moderna suggerisce che per fare il bene basta volerlo. In realtà, secondo la prospettiva greca, se, da un lato, come insegna Socrate, è sufficiente conoscere il bene per farlo (intellettualismo etico), dall’altro lato per ricordarsi sempre, per così dire, del bene da compiere, in modo che il retto agire diventi spontaneo e immediato (una “seconda natura”, una “disposizione costante”, appunto una “virtù”), è necessario un duro esercizio (àskesis, donde i termini “asceta”, “ascetismo”).
Che genere di esercizio? Dipende, come sappiamo, dalle singole scuole (cioè dalla loro visione del bene da conseguire). In generale si tratta di conoscere se stessi non superficialmente e di agire di conseguenza. L’esercizio riguarda quindi simultaneamente la conoscenza e l’azione. Comune a tutte le concezioni etiche greche è che solo la conoscenza (in greco gnosi, denominazione anche di diverse “eresie” cristiane che cercavano di ricondurre anche il cristianesimo nell’alveo della filosofia greca) salva (non la fede, la speranza, l’obbedienza a qualcuno ecc.). Più ci si conosce e si conosce il mondo, più si agisce nel modo migliore e, viceversa, più si agisce nel modo migliore (sulla base dei suggerimenti dei maestri) più ci si conosce.
Per esercitarsi si può
- concentrarsi su se stessi per evitare di essere distratti dal mondo esterno,
- meditare le parole dei maestri per verificare se qualcosa risuona nella nostra anima,
- fare esercizi di reminiscenza,
- dialogare con se stessi o con gli altri,
- esercitare l’attenzione su ogni nostro gesto,
- premeditare i mali futuri per convincersi che non sono veramente tali e che ci devono essere indifferenti,
- assaporare i piaceri senza sviluppare forme di dipendenza da essi ecc.
I libri possono essere solo un’occasione per entrare in contatto con questa o quella scuola filosofica, ma il vero esercizio di solito non ha a che fare con la lettura (per via dei limiti della scrittura che conosciamo, esposti da Platone nel Fedro). Si tratta di qualcosa che si fa oralmente o nel silenzio.
Non si tratta neanche solo di ragionare per arrivare a qualche conclusione. Se si usa il ragionamento, lo si fa soprattutto per abituarsi a distaccarsi dalle percezioni sensoriali (fonte di illusione).
L’analogia con gli esercizi e le forme di meditazione orientale (cfr. arti marziali, yoga, meditazione vipàssana buddhista, tai chi chuan ecc.) è molto forte, ma non dobbiamo dimenticare gli esercizi spirituali praticati in ambito occidentale (esercizi propri della qabbalah ebraica, esercizi dei sufi musulmani, pratiche di meditazione e preghiera cristiane, come l’esicasmo ecc.).
Naturalmente solo pochi oggi potrebbero o vorrebbero praticare tutti i gradini di questa scala di esercizi. Ma nulla vieta, come dimostra la rinascita contemporanea delle pratiche filosofiche, ricominciare a pensare la filosofia semplicemente come un esercizio quotidiano di coerenza esistenziale (cioè di coerenza tra ciò che si pensa e ciò che si fa). Ma tra la filosofia greca e quella contemporanea si sono incuneate prima la religione cristiana (in Occidente) e le altre cosiddette religioni del Libro (Islam, ebraismo), quindi la scienza moderna.
Per approfondire:
- La filosofia antica come via di realizzazione
- Pierre Hadot , Esercizi spirituali e filosofia antica, tr. it. Einaudi, Torino 1988
- Pierre Hadot, La cittadella interiore (1992), tr. it. Vita e Pensiero, Milano 1996.