Secondo Platone, che nel Fedone e nel Cratilo parla per bocca di Socrate, non tutto fluisce, ma vi dev’essere qualcosa che rimane sempre identico a se stesso, sorta di “unità di misura” o termine di paragone di quello che scorre.
Per la verità Platone non dimostra tale ipotesi, su cui si basa la sua celebre dottrina delle idee. Piuttosto egli la presuppone. Nondimeno, in questi passi decisivi dei due dialoghi sopra evocati, egli giustifica tale dottrina principalmente sulla base del seguente argomento: se le idee non esistessero (cioè le cose non avessero una stabile essenza), non sarebbe possibile la scienza (conoscenza) delle cose; anzi non sarebbe nemmeno possibile nominarle.
Ma che cosa sono queste idee, secondo quanto risulta da questi testi?
Le idee platoniche sono i modelli eterni necessari per riconoscere le cose del mondo e confrontarle tra loro. Esse sono immutabili e proprio grazie alla loro immutabilità ci permettono via via di paragonarle alle cose reali e decidere delle loro qualità.
Esse sono anche causa delle cose di cui sono idee.
Per Platone la causa è la qualità stessa della cosa (p.e. “bianco”, “bello” ecc.) presa “assolutamente” (mentre per noi, in genere, causa è quella che Aristotele chiama “causa efficiente”, l’antecedente da cui meccanicamente scaturisce l’effetto, p.e. il “fuoco” nel caso del “fumo” o il “vento” per quanto riguarda l’azione di un mulino ecc.).
Le idee sono causa delle cose per la semplice ragione che le cose non sarebbero quello che sono se non ci fossero le idee corrispondenti (non potremmo dire che una cosa è bella o bianca se il “bello” e il “bianco” non fossero alcunché). Se un ipotetico Dio distruggesse questa o quella idea, le “cose” che ne sono contraddistinte perderebbero immediatamente la corrispondente qualità.
Nel tardo neo-platonismo, del resto, si comincia coerentemente a concepire le idee come pensieri divini, ossia l’insieme dei modi attraverso cui Dio concepisce e progetta il mondo prima della sua effettiva creazione o produzione (una sorta di disegno di cui Dio, architetto del mondo, è l’autore e che lo guida nell’esecuzione del suo progetto).
Da questa nozione di “idea” come pensiero della cosa in Dio deriva, probabilmente, il concetto moderno di “idea” come semplice “pensiero”.
Ricordiamo, invece, che in Platone l’idea non è che l’essenza (stabile) di ciascuna cosa o di ciascuna qualità, ossia il vero “essere” immutabile che sta “dietro” il fenomeno (cioè l’apparenza) delle cose che percepiamo.
La dottrina delle idee fa da argine contro il relativismo sofistico e la teoria del divenire di Eraclito perché mostra come entrambi possano “reggere” (stare in piedi) solo se integrati dalla concezione di qualcosa di stabile che ci consenta di mettere in luce che cosa, di volta in volta, è oggetto di conoscenza, sia pure in differenti prospettive, e di misurare lo stesso divenire dei fenomeni.
Vero è che Platone, nei suoi dialoghi, introduce la teoria delle idee come qualcosa di presupposto, di “scontato”. Manca, cioè, un testo in cui la teoria sia esposta e argomentata in modo esauriente. Tuttavia dai riferimenti che fa, specialmente nel Cratilo e nel Fedone, possiamo così illustrarla.
Quando noi vediamo qualcosa (p.e. un volto, una nuvola) che appare in un modo (p.e. bella, triangolare ecc.), ma poi si “trasforma” in qualcosa di diverso (p.e. brutta, quadrata ecc.), anche solo per renderci conto di questo “divenire”, che riguarda ciò che “appare” (in greco: il fenomeno), dobbiamo presupporre che qualcosa rimanga identico eternamente a se stesso. Si tratta dell’idea, cioè della qualità del corpo presa assolutamente, “astratta” dal corpo e collocata in un immaginario “mondo” posto al di sopra del cielo.
Non mi potrei accorgere che ciò che appariva bello si rivela brutto se non avessi chiara nella mente l’idea del bello che mi permette di giudicare se ciò che di volta in volta mi appare sia o non sia bello.
Allo stesso modo se non ci fosse un “metro” immutabile non potrei accorgermi che “questo” serpente è cresciuto di una certa misura.
Le “unità di misura” non possono variare se devo avere scienza. Analogamente le figure geometriche e le loro proprietà devono rimanere costanti, eterne, anche se, empiricamente, per mezzo dei sensi, non potessi trovare mai un triangolo o un cerchio perfetto. In altre parole devo presupporre, quando giudico, ossia esprimo un’opinione, qualcosa di perfetto per commisurarvi l’imperfetto.
Così anche se non ci fosse nessun vero filosofo, perché tutti gli uomini agiscono per secondi fini, l’idea del filosofo, inteso come qualcuno che cerca di sapere per amore della sola conoscenza, rimane intatta (anzi, è proprio perché l’idea rimane tale che posso, ad esempio, affermare che non ho mai incontrato nessun uomo che fosse veramente filosofo).
N. B. Al di sopra delle idee geometriche, che presuppongono comunque qualcosa come lo spazio, Platone colloca le idee “filosofiche” vere e proprie (bene, giusto, bello, vero ecc.) a cui non corrisponde alcuna forma sensibile. Senza di esse neppure un sofista, a ben vedere, potrebbe esprimere alcuna opinione senza che il suo discorso non si trasformi in un non senso.
In generale quando qualcuno ha una determinata opinione (per esempio che “la pena di morte è giusta”) pensa anche di avere “ragione”, o, in altri termini, che la sua opinione sia “vera” e non un’opinione come un’altra (nell’esempio: “se penso che la pena di morte sia giusta non ammetto che abbia ragione anche chi dice il contrario; altrimenti sarebbe come se pensassi che la pena di morte sia indifferentemente giusta e ingiusta”). Un’opinione, naturalmente, non diventa “vera” solo perché chi ce l’ha pensa che lo sia. Semplicemente, Platone dimostra che avere un’opinione qualsiasi implica, di per sé, non credere nel relativismo assoluto e presupporre la differenza tra il vero e il falso. Le “idee” non sono altro che il “metro” della verità di una determinata opinione (quando, ad es., “penso” che una certa cosa sia bella o triangolare). Se le idee non esistessero, un’opinione varrebbe davvero l’altra: cioè nessuno avrebbe ragione di avere alcuna opinione.
Si potrebbe obiettare: “Ma, se due persone diverse hanno gusti diversi (ad esempio a una piacciono le cose di forma quadrata e all’altra le cose di forma rotonda), come si fa a sostenere che esse condividano la medesima idea di bello?”.
Secondo A la “cosa” da bella diventa brutta, secondo B è vero il contrario, ma entrambi devono distinguere allo stesso modo l’idea del bello (cioè il significato della parola “bello”) dalle altre idee, altrimenti non si potrebbero intendere, cioè non potrebbe intendersi neppure riguardo ciò su cui sono in disaccordo.
Chi non potesse attingere all’idea di bello, davanti all’esclamazione di un amico, davanti alla Gioconda, “Che bella!”, non replicherebbe: “Non sono d’accordo, la trovo brutta”, ma piuttosto direbbe: “Che cosa intendi? Non capisco…”.
Platone fonda, dunque, la scienza su un “mondo” di nozioni immutabili (le idee) che fungono da “misura” per giudicare delle “cose” mutevoli (i corpi sensibili).
Platone presuppone, in tal modo, un piano dell’essere immutabile (“ciò che è e non può non essere”), enunciato per la prima volta da Parmenide di Elea, piano di cui soltanto si avrebbe scienza.
A tale piano si oppone il piano del divenire (Eraclito) e dell’apparenza di cui si avrebbe soltanto opinione.
Questa separazione (cosiddetto “dualismo” platonico) si giustifica meglio sulla base del principio di non contraddizione, enunciato nel modo più chiaro da Aristotele, ma sulla base della dottrina di Parmenide (ciò che è è e non può non essere).
A noi sembra scontato che se qualcuno è x non è non-x (p.e. se è giovane non è vecchio).
Tuttavia ammettiamo volentieri che qualcuno da x possa diventare non-x (da giovane possa diventare vecchio).
Ma è possibile una cosa del genere?
Sembrerebbe di sì, così come è possibile che la stessa persona possa apparire (essere giudicata, “opinata”) giovane o vecchia da punti di vista diversi.
Queste due prospettive sono insufficienti se non integrate con la dottrina di Platone. Infatti, se il fenomeno è destinato a mutare, le idee rispettivamente di “giovane” e “vecchio” devono rimanere stabili, altrimenti si potrebbe arrivare alla situazione paradossale di un giovane che, invecchiando, resta eternamente giovane (perché “nel frattempo” l’idea di vecchio, da diversa, si è magari resa uguale all’idea di giovane). Analogamente, se mentre uno cresce, il “metro” che ne misura la crescita, invece che rimanere uguale a se stesso, crescesse anche lui, non ci potremmo accorgere neppure della crescita medesima.
Sotto questo profilo, la teoria di Eraclito, più che confutata, viene corretta e/o precisata: ciò che scorre è il fenomeno, ciò che appare ai nostri sensi, di cui non abbiamo scienza, ma soltanto opinione; ciò che permane è l’idea, che non potrebbe essere diversa da com’è, di cui abbiamo scienza.
Ora, possiamo ben dire che l’idea, di cui abbiamo scienza, presuppone sempre anche il proprio contrario, perché, come preciserà successivamente Aristotele, non si ha scienza di una cosa se non se ne conosce anche il contrario. Dunque, i contrari di Eraclito, in quanto estremi del movimento, non soggetti essi stessi a movimento, possono ora venire interpretati come idee in senso platonico. In generale, la scienza di qualcosa (p.e. del bene, del bello, del giusto ecc.) presuppone anche la scienza del suo contrario. Ad esempio, l’etica non potrebbe dirci che cosa è bene fare, se non fosse anche in grado di metterci in guardia da ciò che è male subire.
In ultima analisi, per comprendere l’altrimenti oscura dottrina delle idee, che è all’origine anche del moderno concetto di scienza e che, insieme con la cosiddetta “metafisica” di Aristotele, costituisce il principale contributo scientifico (nel senso etimologico di “artefice di scienza”) del pensiero antico, conviene farsi la seguente domanda fondamentale. Come dev’essere l’oggetto di una scienza, in quanto questa si distingua da una mera opinione?
Si deve trattare di qualcosa di “stabile”, di (almeno relativamente) “immutabile”, sempre uguale, altrimenti non avrebbe senso dire che se ne “sa” qualcosa (se ne ha, appunto, “scienza” = sapere).
Ad esempio, chi ha scienza del funzionamento del corpo umano (il “medico”), non ha scienza di qualcosa che in ogni istante potrebbe essere diverso da com’è (agli occhi di persone diverse o nel corso del tempo), altrimenti non si potrebbe dire che ne ha scienza. Si presuppone che l’oggetto della scienza medica sia stabile nel tempo e uguale a se stesso.
In generale, l’oggetto di un sapere degno di questo nome ha due fondamentali proprietà: necessità e universalità.
Ad esempio, siamo in grado di prevedere con precisione che un corpo cadrà con l’accelerazione di 9,81 m/sec2, prima che l’evento di verifichi (cfr. la critica di Platone al relativismo, collegata con la capacità di previsione di chi ha scienza), perché, se è vera la teoria di Newton e la legge di gravitazione universale, data la massa della Terra, tale valore è quello a cui necessariamente deve corrispondere l’accelerazione di gravità al livello del mare.
Per quanto riguarda il fatto che la scienza si riferisca all’universale e non al particolare possiamo riprendere l’esempio del corpo umano. Un medico è tale perché conosce il funzionamento non di questo o quel corpo umano, ma del corpo umano in generale, ossia di tutti i corpi umani in quanto esempi del corpo umano considerato nella sua universalità (e rappresentanto spesso da un disegno astratto o da un modello di plastica o simili, su cui gli studenti di medicina si esercitano).
Ora, se tutto questo è vero, la scienza non ha fondamentalmente per oggetti gli “individui”, viventi o non viventi (questa persona, questa casa, questo registro ecc.), ma le loro idee, ossia quello che noi denominiamo quando adoperiamo il nome comune che si riferisce loro. Ad esempio, quando diciamo: “il cane è il migliore amico dell’uomo” non ci riferiamo con l’espressione “il cane” a questo o quel cane (Pluto, Fido ecc.), ma al cane “in generale” (e così anche ci riferiamo all’uomo in generale).
L’idea non è, dunque, in Platone il “concetto” che abbiamo di qualcosa nella nostra mente o l’opinione che abbiamo di qualcosa (come quando si dice: “Non ho la tua idea su questo argomento” o simili), ma ciò che, in generale, è qualcosa.
Per indicare l’idea di qualcosa Platone (come poi soprattutto Aristotele) adopera anche i termini:
- essenza: ciò che una cosa è o il “che cos’è” di qualcosa;
- specie: ciò che è comune a tutte le cose che si assomigliano – “specie” ha la medesima radice di “specchio” e, come del resto anche la parola greca “idea”, di cui è la traduzione latina, ha la stessa radice di “vedere” (“spectare”, da cui “spettacolo”, “spettatore”), alludendo al fatto che, se vedute, le cose appartenenti alla stessa specie sono spesso indistinguibili;
- forma: ciò che ha la stessa forma, ad esempio la forma di un uomo, di un vulcano o di una casa, identica, anche se la materia di cui sono fatte le singole cose, che hanno la stessa forma, può essere molto diversa.
Ecco una videolezione dedicata alle dottrina delle idee di Platone, per la cui comprensione, tuttavia, si richiede lo studio della dottrina di Parmenide e del cosiddetto “parricidio” platonico di Parmenide: