La nascita e l’evoluzione della vita restano inesplicabili.
L’origine della vita è una delle catastrofi (rotture di simmetria), la più importante.
Intanto la vita stessa presenta caratteristiche, come la chiralità (orientamento destrorso-sinistrorse) di certe sue molecole di base, che non sembrano “necessarie” (si potrebbe immaginare un’anti-vita basata su molecole di chiralità opposta, ma non ve ne è traccia, cfr. Penrose).
In generale, l’origine della vita sembra qualcosa di altamente improbabile e, in generale, nientaffatto necessario, non derivabile algoritmicamente dall’inanimato.
Nonostante tutti i tentativi intrapresi di “produrre” in laboratorio anche una sola cellula vivente, l’impresa è fallita.
La vita sembra resistere a tutti i tentativi di ridurla a un processo interpretabile esclusivamente su basi fisico-chimiche.
Ciò non vale solo per l’origine della vita in generale, ma anche per il suo sviluppo.
Anche l’evoluzione della vita resta del tutto inesplicabile.
La ragione di fondo è che l’evoluzione della vita presuppone come condizione quel tempo (un tempo che procederebbe nella direzione dell’evoluzione stessa) che ne è piuttosto un prodotto.
L’evoluzione dei viventi presuppone il tempo, come kairòs, cioè qualcosa di realmente distinto dallo spazio, come qualcosa all’interno del quale non tutto è già dato. Ma il tempo, a sua volta, come kairòs, qualcosa di realmente distinto dallo spazio, è qualcosa solo nella percezione dei viventi medesimi (come dice Aristotele – e ripetono, con alcune variazioni, Agostino e Kant – “risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima” [Fisica, IV, 14, 233a21-26]). Dunque l’evoluzione dei viventi sembra presupporre quel (tipo di) tempo che, a sua volta, presuppone i viventi che “vi” dovrebbero sperimentare la propria evoluzione.
Il tempo è piuttosto un prodotto, e non una condizione, dell’evoluzione, nella misura in cui è piuttosto il tempo a venire “misurato” dal vivente (che ne ha percezione) che non il vivente dal tempo (in base alla prospettiva secondo la quale sarebbe il tempo a permettere al vivente di nascere, crescere, evolvere). Il tempo, infatti, al di fuori della percezione (prospettiva) dei viventi è una dimensione “matematica” , omogenea alla altre dimensioni dello spazio.
Ciò implica una sorta “fissismo” trascendentale: ecco perché l’albero della vita deve essere considerato, come interamente “dato” (come in Linneo), e solo apparentemente (nella nostra prospettiva) “evoluto” nel tempo .
Le strutture degli organismi possono e devono, dunque, essere spiegate teleonomicamente (“finalisticamente”) a prescindere dal tempo. La causalità finale, in questo quadro, coincide con la causalità efficiente (la quale fa sì che quel determinato vivente esista in quel modo, abbia quei determinati organi e non altri); entrambe sono riducibili, per i viventi, a causalità formale (la quale rende conto dell’esistenza della determinata specie in relazione a tutte le altre e al loro ambiente), senza bisogno di invocare nozioni come “selezione naturale”, “lotta per la vita” e “sopravvivenza del più adatto” (che presuppongono lo scorrere del tempo).
Tutto ciò è consonante con un fondamentale passo della Fisica di Aristotele.
Al di là di questo il meccanismo della selezione naturale casuale, congegnato da Darwin, sembra inadeguato a rendere pienamente conto dell’evoluzione per una somma di ragioni:
- una certa tautologicità della nozione di “selezione del più adatto”;
- l’inesplicabilità (sulla base della sola selezione naturale) delle fasi di accelerazione dell’evoluzione secondo la teoria degli equilibri punteggiati di Gould ed Eldredge (che, a sua volta, poggia, tra l’altro, sulla relativa scarsezza di fossili in grado di testimoniare l’esistenza di “anelli intermedi” tra una specie e l’altra);
- la difficoltà di spiegare l’evoluzione di organi complessi, come l’occhio o le ali, solo sulla base della pressione selettiva dell’ambiente, per convergenza evolutiva (quale funzione tali organi avrebbero assolto negli stadi intermedi di sviluppo?) o mediante il modello del “mostro promettente” di Goldschmitt;
- la contrapposizione tra la tendenza evolutiva dal disordine all’ordine e la tendenza termodinamica della natura inanimata orientata in senso contrario (contrapposizione che sembra richiedere il contributo di una specifica forza evolutiva, come l’élan vital di Bergson, propria dei soli viventi).