Olarchia

cavolfiore

  • Che cosa implica il fatto che nell’ordine esplicato l’incremento generale del disordine, misurato dall’entropia, sia in qualche modo compensato dal sorgere di “isole di ordine”, le più importanti delle quali sono rappresentate dai viventi?

Questa lotta tra entropia e sintropia comporta l’emergere, nell’ordine esplicato, di forme di organizzazione a più livelli, in altri termini di un’olarchia (cfr.  Arthur Koestler),  contraddistinta da eterogenesi dei fini.

Ciascuna “forma” (p.e. un campo elettromagnetico), in quanto “olone” od “olomero”, costituisce la “materia” cioè l’insieme dei vincoli sulla base dei quali un’altra forma (p.e. il campo morfogenetico, responsabile dello sviluppo e dell’organizzazione di un vivente), “olone” od “olomero” di grado superiore, gode dei propri gradi di libertà. Ciò che per la forma  inferiore è dunque il fine (p.e. scaricare la tensione elettrica tra neuroni) costituisce il mezzo attraverso cui la forma superiore persegue i propri fini (p.e. ricordare qualcosa di rilevante).

In generale ogni forma  persegue il fine di preservare se stessa, sicché in ultima analisi la causa finale non è che la manifestazione nel tempo della causa formale (che funge da “attrattore”).

Affinché ciò accada è, tuttavia, necessario postulare che le forme inferiori, che costituiscono la “materia” di quelle superiori,  non possano completamente determinare l’azione di quelle superiori (come nelle ipotesi riduzionistiche). La chiusura causale del mondo fisico deve essere sospesa. Si devono, cioè, postulare forme di downward causation, in virtù della quale le forme superiori possono orientare i cammini di quelle inferiori (come avviene p.e. nella morfogenesi, quando vengono corretti gli errori nella trascrizione dell’RNA), [pur senza, tuttavia, che tale “orientamento” possa essere statisticamente rilevato].

Ciò è reso concepibile dall’indeterminazione di fondo che contraddistingue la natura.

La cosa è certamente più evidente nel caso degli esseri viventi. Come scrive Koestler [p. 71], per esempio,  sussiste un’olarchia (una gerarchia di interi, tipicamente quella di un organismo vivente, in quanto articolato in apparati, organi, tessuti e cellule) tale per cui ciascun olomero (parte intera di tale ordine, costituito a sua volta di olomeri, ossia di parti intere) avrebbe la doppia tendenza conservare se stesso e ad assolvere una funzione per l’intero di cui è parte (sarebbe, insomma, sia fine a se stesso che mezzo per altro fine), in modo tale da retroagire causalmente sulle proprie parti, affinché esse pure (pensa ancora alle “parti degli animali” per esprimerci evocando il titolo di un’opera di Aristotele) operino per la conservazione di ciò di cui sono parti.

La downward causation è caratteristica non solo della vita, ma, in generale, dei fenomeni di emergenza.

Come abbiamo già avuto modo di osservare, vi sono proprietà, come quella di “bagnare”, riferita all’acqua, che, pur non essendo proprie delle molecole d’acqua in quanto tali (una molecola d’acqua non bagna), “emergerebbero” a livello macroscopico a certe condizioni (di volume, di temperatura ecc.).

Una molecola d’acqua, isolatamente presa, non bagna e non è trasparente. Non è nemmeno liquida. Ma l’acqua è tutte queste cose. In questo senso l’acqua non è soltanto H2O. Nell’ “insieme” in cui consiste l’acqua le molecole di cui è costituita sono in un rapporto reciproco tale che l’acqua sia liquida, trasparente e che bagni. Questo rapporto è determinato dai legami che sussistono tra i singoli atomi delle singole molecole, certamente, ma anche dai legami che vi sono tra ciascuna molecola e tutte le altre (legami determinati anche dalla temperatura a cui queste molecole si trovano, ossia dall’intensità della vibrazione/oscillazione a cui sono sottoposte), dai legami tra tutte queste molecole e le forze, di origine esterna, che agiscono su di esse (nucleari, elettromagnetiche, gravitazionali) ecc.

In ultima analisi l’acqua è qualcosa che è bensì fatta di molecole costituite, ciascuna, da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, ma essa non si risolve affatto in tale sua costituzione. Le molecole d’acqua sono la “materia” di cui l’acqua, in quanto “sostanza”, è fatta o costituita. Ma l’esistenza dell’acqua richiede molto di più dell’esistenza di atomi di idrogeno e di ossigeno. L’esistenza dell’acqua richiede un insieme sì, ma di condizioni, non di molecole (l’esistenza di tali molecole è solo una delle condizioni perché si dia acqua).

Ora, secondo l’ipotesi della downward causation, se da un lato l’acqua come sostanza risulta determinata dall’insieme di tutte queste condizioni, dall’altro lato anche queste ultime dipenderebbero, in qualche modo, dalla forma dell’acqua. Non solo l’intero dipenderebbe dalle parti da cui è costituito, ma queste, a loro volta, dipenderebbero, nella loro azione, dall’intero di cui sono parti.

  • Perché postulare queste forme di downward causation nel caso di sostanze inanimate? A sembra che le proprietà emergenti dei corpi, come il “bagnare” nel caso dell’acqua, anche se appaiono irriducibili a quelle delle strutture di base (come le molecole d’acqua), da cui dipendono, non condizionino in alcun modo, a loro volta, queste stesse le strutture di base e il loro funzionamento. Ad esempio, il fatto che l’acqua, in una certa quantità e a una certa temperatura, possa “bagnare” dipende dal modo in cui l’acqua è costituita a livello molecolare, ma ciò che accade nell’interazione tra le molecole d’acqua tra loro e con le molecole di altre sostanze è del tutto indifferente rispetto al fatto che (soprattutto: non è in alcun modo influenzato dal fatto che), macroscopicamente, accada o non accada qualcosa (p.e. che  questa determinata quantità d’acqua bagni o non bagni qualcosa)!

Si potrebbe dubitare che certe proprietà emergenti, come quelle dell’acqua, retroagiscano sul livello molecolare dell’acqua. Ma riflettiamo un momento.

Quanto più la massa d’acqua è importante, tanto maggiore sarà, ad esempio, la forza di gravità che essa esercita su se stessa (per tacere di quella, assai più intensa, che essa subisce p.e. dalla massa terrestre, se parliamo p.e. dell’acqua del mare e pensiamo alle maree). Per quanto impercettibilmente, l’azione del campo gravitazionale non può che distorcere la forma e gli effetti degli altri campi, riguardanti la medesima massa d’acqua, che gli sono “subordinati”, p.e. di quello elettromagnetico e di quelli nucleari.

Se questo non appare evidente per masse d’acqua relativamente piccole, risulta assai chiaro per corpi assai più massicci, come le stelle a neutroni e i buchi neri: il campo gravitazionale di questi oggetti (olomero di grado superiore) è così forte da modificare profondamente la struttura degli altri campi di forze in gioco (olomeri di grado inferiore)!

Nel caso di sostanze come il benzene possibile mostrare che, quando le molecole che lo costituiscono raggiungono un certo grado di complessità, la configurazione finale che esse assumono risulta determinante rispetto l’attivazione o meno di determinati processi relativi alle loro parti più piccole (cfr. Sheldrake, p. 24).

Ecco come l’intero può condizionare le sue parti, non meno di quanto queste ultime condizionano l’intero.

In ultima analisi possiamo concordare con Platone, quando nel Timeo, proclama: I

il cosmo è un intero di interi [hòlon ex hòlõn tòn kòsmon]
[Platone, Timeo, 33a7]

Per spiegare questo passo Proclo precisa:

ll cosmo nella sua interezza è costituito da tutte le parti nel loro insieme [ho sympas kòsmos ek merôn sympleroûtai tôn hòlôn], mentre ciascuna delle parti è ciò che è l'intero (tò hòlon), non come il tutto (tò pân), ma come parte.
[Proclo Teologia platonica, III, 25, 88, 4-6].

Ad esempio. l’organismo è costituito da cellule; ma molti organismi costituiscono una società, umana o animale come p.e. un alveare o un corallo.

In un passo successivo Proclo chiarisce ulteriormente:

Nel modo in cui il tutto [tò pân] secondo Timeo è venuto a sussistere come "intero fatto di interi" [hòlon ex hòlõn], allo stesso modo è venuto a sussistere anche come "perfetto fatto di parti perfette" [tèleion ek telèiõn]
{Proclo, Teologia platonica, IV, 25, 75, 14-15].

Il tutto, cioè, è costituito da parti che, oltre a essere esse stesse, ciascuna, un tutto, sono anche “compiute, perfette” (tèleion), nel senso che hanno ciascuna il proprio fine (tèlos) in se stessa, ma anche, necessariamente, in ciò di cui sono parti (dunque costituiscono insieme alcunché di fine a se stesso e di mezzo per altro fine). Ecco ribadita l’eterogenesi dei fini che attraversa la natura.

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di Giorgio Giacometti