Idealismo e religione (cristiana)

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I credenti spesso credono di credere in ciò in cui credono, come a “realtà” (storica).  “Realtà” è espressione (riferita alla resurrezione di Cristo o alla comunione dei santi ecc.) che  spesso risuona sulla bocca di sacerdoti formati sui testi di San Tommaso d’Aquino, il cui “realismo” gnoseologico è troppo noto (ma, forse, frainteso). Ma tale insistenza sulla realtà storica dei fatti a cui siamo invitati a credere è giustificata?

A dirimere la questione non soccorre neppure il Catechismo della Chiesa Cattolica, che, a proposito del senso letterale della Scrittura, si limita a dire che questo significato, “trovato attraverso l’esegesi che segue le regola della retta interpretazione” (?) [n. 116], “insegna i fatti” [n. 118].  Il senso letterale sarebbe, inoltre, il fondamento degli altri sensi [cfr. sempre n. 116].

Ciò sembrerebbe suggerire che il credente debba intendere come storicamente accaduto tutto ciò che è narrato nella Scrittura, attribuendogli soltanto, in sovrappiù, ulteriori sensi spirituali (quello allegorico, quello morale e quello anagogico).

Il che, tuttavia, come aveva già osservato Galileo Galilei (non certo per primo – l’osservazione risale almeno a Origene e ai primi “allegoristi” -), contrasta con le numerose contraddizioni  e incongruenze contenute nella Bibbia.

Se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole, perché così vi apparirebbono non solo diverse contradizioni, ma gravi eresie e bestemmie ancora; poi che sarebbe necessario dare a Iddio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti corporali e umani, come d'ira, di pentimento, d'odio, e anco talvolta l'obblivione delle cose passate e l'ignoranza delle future [Galileo Galileo, Lettera a Benedetto Castelli, in Lettere, p. 54]

Si pensi solo al fatto che in Genesi  1, 20-26 prima vengono creati gli animali e poi l’uomo, mentre in Genesi, 2, 1d-19 prima viene creato l’uomo e poi gli animali.

Per tacere che l’uomo e gli altri animali sarebbero stati creati in sei giorni qualche migliaio di anni fa su una Terra presumibilmente piatta e immobile…

Ma l’interpretazione letterale della Scrittura come se narrasse fatti storici contrasta anche solo con quanto lo stesso Catechismo altrove precisa: la Rivelazione concerne (soltanto, si direbbe) “ogni verità salutare” e “ogni regola morale” [cfr. n. 75, che riprende la costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II, cap. 7]; dunque non dovrebbe impegnare a credere come storicamente accaduta ogni cosa narrata nelle Scritture (comprese quelle più inverosimili, magari smentite da altre fonti storiche o da considerazioni di ordine scientifico).

Tale “concessione” sembrerebbe confermata anche da alcuni eminenti pronunciamenti del Magistero, ai più alti livelli. Per quanto riguarda l’episodio dei magi, ad esempio, Joseph Ratzinger, già divenuto Papa Benedetto XVI, pur propendendo personalmente per la storicità dell’episodio, riconosce che, legittimamente, “ormai anche esegeti di chiaro orientamento ecclesiale […] sono contrari alla storicità o, per lo meno, lasciano aperta la questione” [Ratzinger 2012, p. 137].

Bisognerebbe, chiedersi, in generale, se il tentativo di radicare la propria fede in eventi che si pretendono simili a quelli di cui tratta la storia profana non sia, per le religioni, perdente, anzi suicida.

  • Per quale ragione?

La religione si sottometterebbe  ai medesimi criteri di validazione (criteri storico-critici) della storia profana. E non sopravviverebbe loro.

Gli stessi credenti, come abbiamo visto, ormai ammettono che certi segmenti del racconto evangelico debbano o, almeno, possano venire interpretati, simbolicamente, come l’episodio dei magi o, possiamo aggiungere, l’ascensione di Gesù al cielo.

  • E perché non potrebbe avere valore storico l’ascensione?

Oggi sappiamo troppo bene che il “cielo” a cui Gesù ascende non ha a che fare con il cielo astronomico. Difficile, dunque, assegnare all’ascensione di Gesù al cielo, con il proprio corpo, tra le nubi, un valore più che simbolico.

Tuttavia – ecco il cuore del problema – alcuni di tali eventi storicamente poco attendibili, come proprio l’ascensione (Atti, 1, 9-10), sono narrati con lo stesso stile col quale sono scritti altri racconti, come quello della resurrezione, ai quali si assegna, viceversa, pieno valore storico!

  • Il caso della resurrezione mi sembra assai più credibile come evento storico (soprattutto se meditiamo sul mistero della sindone di Torino, quinto vangelo secondo molti)…

… a meno che, interpretando i passi di Matteo (28, 11-15) come excusatio non petita (giustificazione non richiesta), non sospettiamo che il corpo materiale di Gesù sia stato trafugato dai discepoli per far credere nella sua resurrezione…

  • Dubiti, dunque, della resurrezione di Cristo?

Nient’affatto, ma credo che occorra riconoscere nel corpo del Risorto un “corpo spirituale” nel senso inteso da Paolo (1 Corinzi, 15, 44) – del resto secondo i racconti evangelici il Risorto poteva, ad esempio, attraversare i muri (cfr. Gv 20, 19) o apparire in luoghi diversi e lontani senza poterli raggiungere – si direbbe – con mezzi umani – , dunque qualcosa di  piuttosto simile a un “angelo del cielo” (cfr. Mt, 22, 30 sulla condizione umana “nella resurrezione”) che non a una persona in carne e ossa…

In generale, se seguiamo le indicazioni, ad esempio, dell’attuale Magistero della Chiesa (di cui il Catechismo della Chiesa Cattolica è un distillato), dovremmo praticare una strana “gimkana”  tra testi da prendere alla lettera e testi da leggere come “simbolici”, sulla base di criteri meramente teologici che, però, spesso fanno a pugni con i criteri di indagine storico-critica.

  • E che via dovremmo percorrere, allora?

Quella suggerita da diversi passi dello stesso testo evangelico (soprattutto di Giovanni), che echeggiano altri passi di San Paolo, nei quali Paolo espone il cosiddetto kèrygma

  • Di che si tratta?

Secondo attendibili ricostruzioni storiche, Paolo, seguito in questo dall’autore del Vangelo attribuito a Giovanni, avrebbe spostato l’accento

  1. dagli insegnamenti etici e apocalittici di Gesù (comprendenti l’annuncio del suo immediato ritorno o “parousìa“), che sarebbero stati al centro della pratica religiosa dei suoi immediati seguaci (cfr. le conclusioni a cui è pervenuto Bart Ehrman, insieme ad altri storici della cosiddetta third quest sul “Gesù storico”, in studi che hanno fatto ritornare in auge, in un certo senso, la prospettiva storico-critica originaria di Reimarus e Schweitzer),
  2. alla sua morte e resurrezione, come se al cuore dell’insegnamento di Gesù vi fosse stato soprattutto Se stesso, l’invito alla fede nelle sua morte e resurrezione come Figlio di Dio e salvatore del mondo.
  • E questo spostamento d’accento a che cosa conduce?

Conduce a una caratteristica mise en abyme o cortocircuito in cui il cristianesimo tende a risolversi: Gesù ci chiede di credere fondamentalmente in Lui,  morto e risorto per noi… ma, tra le cose fondamentali che Gesù ci ha chiesto di crederec’è proprio questo: che chi crede in Lui sarà salvo. La fede alimenta e fonda circolarmente se stessa. Se credi sarai salvo, ossia si verificherà ciò in cui credi (come nella celebre immagine dello spostamento, per fede, della montagna, cfr. Mt, 17,20; Mt, 21,21, cfr. anche il cd. Vangelo di Tommaso, 50, 19-21): l’oggetto della fede, dunque, in un certo senso è reso reale della fede stessa. Ci credo perché è vero, ma è vero perché ci credo. Anzi: ci credo perché è (sarà) vero se e solo se ci credo. Credo nel valore del fatto stesso credere.

  • Tuttavia, al centro della fede cristiana non c’è solo la morte e resurrezione di Cristo, ma l’insieme degli articoli di fede esposti, ad esempio, nel Credo niceno-costantinopolitano (la fede in un Dio onnipotente, nello Spirito Santo ecc.)…

Il kèrygma rappresenta la specificità delle fede cristiana in quanto cristiana (in quanto ha al suo centro la figura di Cristo). Tuttavia, anche la fede nel complesso degli articoli del Credo è contraddistinta da una caratteristica mise en abyme.

  • In che senso?

Se seguiamo ancora il Catechismo della Chiesa cattolica, scopriamo che in tanto credo in Dio (non solo che Egli esista, ma che sia anche Uno e Trino, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe ecc.) in quanto credo a Dio (a quello che Egli ci ha rivelato nell’Antico e nel Nuovo Testamento e, soprattutto, mediante Cristo).

La fede è certa, più certa di ogni conoscenza umana, perché si fonda sulla Parola stessa di Dio, il quale non può mentire [n. 157]

Chi dubiterebbe di quello che Dio stesso gli rivela? Nessuno. Tuttavia, bisogna prima di tutto credere che Colui che ci rivela quello che ci rivela sia effettivamente Dio per credere poi in quello che Egli ci rivela. Ma se fondiamo la nostra fede nell’Autore della rivelazione sulla rivelazione stessa siamo in un evidente circolo vizioso o, appunto, in una mise en abyme.

  • Questa mise en abyme non potrebbe venire denunciata dai detrattori della fede cristiana, che potrebbero facilmente riconoscervi un circolo vizioso?

Certo. Ma essa potrebbe anche fare il gioco di una fede, che, abbandonando le secche di un realismo storicamente insostenibile, riconoscesse l’idealismo di cui essa fondamentalmente si nutre.

  • Che cosa intendi per “idealismo”?

Intendo il fatto che chi crede crede anche di essere in qualche modo co-autore dell’oggetto della propria fede, in quanto parte fondamentale del mistero che in lui stesso si rivela. In ultima analisi secondo lo stesso cristianesimo la fede ci fa riconoscere come membra del corpo di Cristo, ci “deifica”, come insistono a sottolineare soprattutto gli ortodossi.

Sotto un altro profilo la fede ci è data per grazia e per gli “aiuti interiori dello Spirito Santo” [n. 153 del Catechismo], dunque per una via insondabile, la sola che possa spezzare l’altrimenti inevitabile circolo vizioso in cui sarebbe imbrigliata la nostra ragione quando riflettiamo sui misteri della religione.

La fede, insomma, ci fa vedere le cose in una diversa prospettiva, non nella prospettiva della “realtà storica”, ma piuttosto, per usare un’espressione cara a Henri Corbin, in quella di una dimensione “immaginale”, qualcosa di simile alla shakespeariana “sostanza dei sogni”; soltanto che vi è in gioco non tanto la sfera psichica, bensì la superiore sfera pneumatica (spirituale), che è in qualche modo all’origine della manifestazione tanto della sfera psichica quanto di quella materiale (l’universo fisico).

  • Mi sembra una prospettiva inaudita…

Meno di quello che si potrebbe credere.

Secondo Empedocle di Agrigento, ad esempio, ciascuno è atteso dopo la morte da quello in cui egli aveva creduto: se crede di essere soltanto un corpo mortale, sarà un corpo mortale (vi si “reincarnerà”), ma se crede (o ricorda) di chi veramente egli è, sarà ben altro…

Gli uomini dal breve destino [a differenza dei saggi] scrutano solo una piccola parte della vita con le loro esistenze, e innalzandosi come il fumo dileguano, solo affidati a quel poco che ciascuno incontra a caso, mentre vagano per ogni dove; e questo, che per loro è tutto, si vantano di scoprire.
[Empedocle, Poema Fisico, I, vv. 30-33 ]

Così anche Plotino ammonisce gli stoici, che non credono alla dimensione spirituale, ma affermano che tutto è “corpo”: essi stessi, preda di un’intelligenza “materiale”, preparano a se stessi il destino che si meritano.

"La materia è dunque l'unico ente". Ma chi lo dice? Non sarà certo la materia stessa, a meno che la materia, in un suo modo d'essere, non sia l'intelligenza... Chi parla [come gli stoici, materialisti], parla così in quanto viene ad avere molto dalla materia e appartenere tutto alla materia; e se anche ha un'anima, egli ignora se stesso e quella potenza che è capace di dire il vero su tali argomenti
[Plotino, Enneadi, VI, 1, 29, 30]
 
È davvero strana questa intelligenza che colloca la materia prima di sé e le attribuisce quell'essere che non ha dato a se stessa.
[Plotino, Enneadi, VI, 1, 28, 20]

Nella tradizione pitagorica, testimoniata ad esempio dalla Vita pitagorica di Giamblico,  l’invito è quello di credere alle storie mitologiche per la seguente ragione:

Per la divinità non vi sono cose possibili e impossibili, come credono i cavillatori (sofizòmenoi): tutto è possibile [...] Bisogna attendersi tutto, perché non c'è nulla in cui non si possa sperare; tutto il dio può compiere e non c'è nulla che non possa compiersi. 
[Giamblico, Vita pitagorica, XXVIII, 139]

Il testo di Giamblico riferisce inoltre di numerosi “miracoli” compiuti tanto da Pitagora (di cui si narra anche un’emblematica ascesa al monte Carmelo, sacro non solo agli Ebrei, ma anche ai Fenici e, in generale, ai pagani, cfr.  ivi, III, 14), quanto dai suoi discepoli (anche indiretti, come Empedocle).

  • E che cosa suggeriscono questi miracoli?

Che, quanto più si ha fede nel favore degli dèi  e si perseguono fini a loro graditi, tanto più la natura obbedirà a noi,  così come essa obbedisce loro… fino al limite di crederci noi stessi divini , in quanto tutt’uno con l’Uno-tutto, come si narra che accadde tanto a Pitagora quanto a Cristo

Per approfondire:

  1. Henri Corbin, Corpo spirituale e terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita (1960), Milano, Adelphi 1996
  2. Bart Ehrman, Gesù è davvero esistito? Un’inchiesta storica, Milano, Mondadori, 2013
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di Giorgio Giacometti