Un disegno intelligente?

volto dal caosL’emergere della vita dall’inanimato (nonché, come vedremo, l’emergere della coscienza dal non cosciente) non è il solo processo meccanicisticamente inesplicabile, ma è, per così dire, la punta dell’iceberg.

La domanda “Perché le cose sono così e non altrimenti?” non chiede soltanto “perché c’è qualcosa”, ma anche perché, appunto, ciò che esiste, acclarato che qualcosa deve esistere, sia proprio così; in particolare contraddistinto da organismi [più o meno coscienti].

Non è possibile rispondere a questa domanda invocando “cause meccaniche”.

Queste sono, in ultima, analisi cause apparenti, dal momento che ciò che esse dovrebbero spiegare sarebbe un sistema meccanico che può essere rappresentato come l’immagine di una funzione hamiltoniana: esso sarebbe cioè un sistema interamente reversibile e noto in ogni stato successivo e antecedente a qualsiasi stato prescelto, senza che vi si possano distinguere propriamente cause ed effetti (sarebbe l’equivalente a più dimensioni di una figura geometrica: come non ha senso chiedersi se gli angoli di un quadrato sono retti a causa del fatto che il quadrato ha due diagonali uguali o viceversa, così non ha senso chiedersi se un certo stato di un sistema meccanico reversibile sia causa o effetto dello stato successivo).

D’altra parte un sistema meccanico, appunto in quanto contraddistinto da un’evoluzione reversibile, è simmetrico rispetto al tempo, mentre l’attuale universo non lo è affatto.

Dunque

  1. o si abdica a qualsiasi tentativo di spiegazione, invocando il puro caso;
  2. o si sostiene l’esistenza di innumerevoli o forse infiniti universi, tra i quali anche il nostro, il quale, contraddistinto da una caratteristica “freccia del tempo” (Eddington), avrebbe caratteristiche casualmente compatibili con la vita e l’intelligenza (principio antropico “debole”), ciò che ci consente appunto, qui e ora, di percepirlo e di considerarlo “nostro”;
  3. oppure occorre invocare cause di tipo finale (come un principio antropico “forte” o un intelligent design).

La soluzione a) è una rinuncia, di fatto, a rispondere alla domanda.

La soluzione b) viola clamorosamente il rasoio di Ockham, postulando l’esistenza di un numero enorme di oggetti inosservabili per spiegare un solo oggetto osservabile (il nostro universo).

La soluzione c) appare quella più plausibile.

N. B. Si potrà mostrare che la soluzione c) solo apparentemente si distingue dalla soluzione b), se si ammette che “esse est percipi”, infiniti universi inosservabili sono infiniti universi inesistenti e l’unico universo osservabile, del quale si è coscienti, è il solo universo esistente a causa del fatto che se ne è coscienti.

In generale ci si deve chiedere come il kòsmos, l’ordine che contraddistingue l’universo, sia scaturito dal caos.

Questo caos possiamo intenderlo in vario modo: il “multiverso” delle infinite possibilità (e impossibilità!) alternative all’universo reale (i “mondi possibili” di Leibniz); il nulla la cui “vibrazione” quantistica avrebbe dato origine a questo e non ad altro universo; gli infiniti universi caotici, ipoteticamente reali, ma inosservabili, da cui saremmo circondati e di cui il nostro, “ordinato”, costituirebbe soltanto una “fortunata” eccezione; la “morte termica” a cui tutto sembra tendere e da cui, nell’ipotesi di una “creazione ciclica” di universi ordinati, tutto sarebbe misteriosamente anche scaturito ecc.

Partiamo dal cosiddetto principio antropico: questo universo conterrebbe, fin dall’origine, gli “ingredienti” giusti, in termini di leggi fisiche e costituenti materiali, da permettere l’evoluzione della vita e l’emergere della vita intelligente (“ingredienti” tali che anche una variazione minima di uno di essi avrebbe reso impossibile la vita come noi la conosciamo) .

Cfr. le osservazioni pionieristiche, in tal senso, di Lawrence Henderson, risalenti al 1913:

Oggi possiamo vedere che le proprietà della materia e il corso dell'evoluzione cosmica sono intimamente collegati alla struttura dell'organismo vivente e alle sue attività - ormai il biologo può considerare biocentrico, nella sua stessa essenza, l'universo.
[Lawrence J. Henderson, The Fitness of the Enviroment (1913), rist. Peter Smith, Gloucester (Massachusetts) 1972, p. 312, tr. in Davies, pp. 244-45]

Dopo gli studi di Fred Hoyle (degli anni Sessanta) e le ricerche successive di fisici quali Brandon Carter, Bernard Carr e altri, si è giunti più recentemente ad affermare:

Le condizioni del nostro universo sembrano veramente le sole adatte a forme di vita come la nostra.
[John Gribbin, Martin Rees, Cosmic Coincidences, Bantam, Nee York - Londra 1989, p. 269, tr. in Davies, p. 246].

Questo principio è uno dei modi – non l’unico – che abbiamo per contraddistinguere l’ordine dell’universo. Come spiegarlo? Sebbene esso sembri suggerire un intelligent design, ossia una mente ordinatrice che abbia disposto tutto fin dall’inizio affinché nascesse l’uomo – magari “a immagine e somiglianza” di quest’intelligenza stessa o, perfino, come questa stessa intelligenza che prende coscienza di sé  (nella versione dell’idealismo tedesco o in quella, più in linea con l’attuale sviluppo delle conoscenze, proposta da Wheeler e Goswami e che faccio senz’altro mia) -, esso, di per sé, non esclude altre spiegazioni.

Il fatto è che tali spiegazioni alternative non sembrano affatto reggere.

Si potrebbe tentare di invocare la selezione naturale, come meccanismo (di “scelta” tra universi) sufficiente a scartare gli universi privi di vita e/o di vita di intelligente, come fanno alcuni autori, ma sarebbe un tentativo vano. Infatti, la selezione naturale presuppone una “lotta per la sopravvivenza” tra individui diversi. Ma l’universo, per definizione, è tutto: non ce ne sono “altri” contro cui lottare per “migliorare” la propria “specie” di universo. Inoltre, anche se vi fossero (o vi fossero stati) altri universi, non vi è un ragione convincente che spieghi perché un universo capace di vita e di vita intelligente debba sopravvivere agli altri (e, sotto questo profilo, rivelarsi “migliore”).

Chi nega l’ipotesi dell’intelligent design deve, dunque, risalire da Darwin a Democrito ed Epicuro e postulare l’esistenza di un numero enorme (o infinito) di “universi”, tutti simultaneamente esistenti e, a fortiori, compossibili. Il nostro sarebbe scaturito del tutto a caso (senza, appunto, che si possa invocare un processo di selezione, a restringere il numero dei casi possibili). Noi ci accorgeremmo del “nostro” universo solo perché soltanto un universo nel quale si sia sviluppata del tutto a caso “vita intelligente” ammette “osservatori”.

Si tratta, in ultima analisi, della spiegazione offerta da Nick Bostrom, secondo cui l’ordine che noi attribuiamo all’universo sarebbe apparente, frutto non di un principio antropico, ma di un pregiudizio antropico (“anthropic bias“). In particolare Bostrom sostiene come altrettanto improbabile del nostro sarebbe qualsivoglia altro universo con qualsivoglia altra caratteristica. Noi ci “sorprendiamo” del nostro solo perché… siamo noi!  Questo argomento, che suppone il multiverso, viola il rasoio di Ockham e non è neppure conseguente come sembra, come ho ampiamente argomentato.

L’ipotesi degli innumerevoli universi come è stato fatto notare, viola il “rasoio di Occam”, secondo il quale entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem (non bisogna moltiplicare le entità senza necessità) nello spiegare i fenomeni. Per escludere a priori l’ipotesi di una mente ordinatrice ci si rifugia nell’ipotesi ancora più implausibile di un’infinità di universi (di cui non si sa e non si può sapere nulla e dei quali ci si dovrebbe chiedere sempre di nuovo perché esistano o anche solo possano esistere).

Ma c’è soprattutto un argomento decisivo che ci consente di escludere l’ipotesi dei molti (o infiniti) universi, anche nell’ipotesi che si tratti di unversi immaginari. L’idea è che il nostro universo è improbabile non solo perché sarebbero potuti esistere innumerevoli altri universi invece del nostro (cosa che effettivamente può valere per qualsiasi universo), ma per una ragione intrinseca che lo rende implausibile (in assenza di un “principio d’ordine” o Lògos che lo spieghi).

L’ordine che è apparentemente scaturito dal caos e che contraddistingue il nostro universo (facendone un “cosmo”) non emerge solo nei fenomeni biologici, ma contraddistingue anche proprietà della natura inanimata, in ambiti che non hanno rapporto diretto con i fenomeni biologici (nel senso che, se è vero che la vita – a maggior ragione quella umana – non si sarebbe potuta sviluppare se la natura non fosse stata contraddistinta da tali proprietà, non è vero il contrario: un ambiente fisicamente “ordinato”, contraddistinto da tali proprietà, avrebbe potuto avere luogo senza ospitare alcuna forma di vita e/o di vita intelligente).

Tra le proprietà della natura inanimata che ne rivelano l’ordine profondo possiamo ricordare, per esempio: la semplicità ed eleganza delle leggi fondamentali della natura, il numero limitato di forze fondamentali, gli accoppiamenti e le simmetrie tra le particelle fondamentali ecc. (come ci ricorda il bel libro di Frank Wilczek, premio Nobel per la Fisica, Una bellissima domanda. Scoprire il disegno profondo della natura).

Ora, però, se escludiamo il “disegno intelligente” anche questi aspetti dell’ordine naturale dovrebbero essere casuali.

Il che, però, avrebbe una conseguenza devastante: nulla potrebbe garantire che, in ciascun istante successivo, l’ordine strettamente fisico dell’universo non si dissolva. In altre parole, se abitassimo in un universo solo casualmente ordinato, tra un istante l’attrazione gravitazionale potrebbe cessare o invertire il proprio verso (con effetti catastrofici sulla vita intelligente, cioè su di noi), perché le stesse leggi naturali avrebbero un’esistenza casuale, non sarebbero “garantite” in termini di durata e di efficacia da alcunché. Tuttavia, noi non ci aspettiamo niente del genere. Il postulato sotteso alle nostre aspettative è, dunque, che l’ordine reale sia “più solido” di quello che sarebbe scaturito semplicemente dall’oceano in tempesta del puro caso.

Nella stessa direzione va il cosiddetto paradosso del cervello di Boltzmann, che così possiamo compendiare:  in ultima analisi, se non vi fosse, nell’universo, una tendenza positiva a favore dell’ordine (dell’organizzazione, della vita, della coscienza…), ma tutto fosse casuale, la probabilità che sorgano dal nulla, improvvisamente, “cervelli” perfettamente funzionanti, ma effimeri, magari con ricordi falsi, sarebbe molto più alta di quella che cervelli simili si sviluppino in milioni di anni, per selezione naturale, a poco a poco (cosa che, viceversa, sarebbe accaduto se hanno ragione coloro che congetturano che i nostri cervelli si siano evoluti “darwinisticamente”). Eppure noi non registriamo l’apparire e lo scomparire qua e là degli effimeri “cervelli di Boltzmann”, ma solo il persistere dei nostri cervelli, durevoli e coerenti, nonché ben integrati in corpi umani quasi perfettamente funzionali e adattati all’ambiente che li circonda. Il che suggerisce, di nuovo, l’esistenza di un ordine più solido di quanto non sarebbe se tutto fosse scaturito e tuttora scaturisse, casualmente, sempre di nuovo dal caos.

Tutto ciò sembra richiedere una certa “razionalità” nella costruzione dell’universo, proprio quella che – guarda caso! – proprio noi esseri umani, grazie alla nostra mente, pur limitata, andiamo sempre più “scoprendo”….

Consideriamo la sorta di inversione della freccia del tempo che contraddistingue il vivente. Vi si fonda ogni possibile teoria dell’agire intelligente (filosofia pratica) in quanto si distingue da ogni possibile teoria della conoscenza intelligente (filosofia teoretica).

Kant distingue i due approcci come segue: mentre nella conoscenza si tratta di trasformare gli oggetti in rappresentazioni, nell’azione si tratta di trasformare le nostre rappresentazioni in oggetti. A ben vedere, però, questa seconda operazione non è che l’equivalente della prima a freccia del tempo invertita. Il fine vi governa ciò che accade, ovvero è il futuro (in quanto anticipato da una mente) a determinare causalmente il presente, non viceversa, come negli eventi governati da cause meccaniche, oggetto di scienza nel senso corrente del temine.

Come ricordano Piattelli Palmarini e Fodor [p. 128], “c’è almeno un modo in cui una creatura può essere influenzata da un evento dal quale è isolata causalmente [qual è un evento futuro]: può essere influenzata da un evento in quanto rappresentato mentalmente“.

In generale, ogni qualvolta si registra una tendenza verso un fine non è, dunque, lecito, per analogia, postulare una mente (anticipante, progettante)?

Possiamo, dunque, tornare con minori remore alla nostra ipotesi di un intelligent design.

In ultima analisi già Tommaso d’Aquino, su basi aristoteliche, come è ben noto, argomentava la necessità di postulare un’intelligenza ordinatrice (cfr. Summa theologica, parte I, quaestio II, art. 3).

Dal canto suo il celebre scienziato Robert Boyle, nel 1744, scriveva:

L'eccellente congegno di questo gran sistema del mondo, ed in special modo l'intricata fabbrica dei corpi degli animali e gli usi delle loro parti, sensibili e no, sono stati i gran motivi che in tutte le età e nazioni hanno indotto i filosofi a riconoscere una divinità come autrice di queste ammirabili strutture.
[Robert Boyle, A disquisition about the final cause of natural things, Londra 1744, vol IV, p. 522, cit. in Davies, p. 248]

(Naturalmente qualcuno potrebbe, a questo punto, obiettare che l’ammirazione per l’organizzazione teleonomica del vivente dipenda dall’ignoranza dei meccanismi della selezione naturale del più adatto, escogitati da Darwin nel XIX sec.: ma è ad oggi tutto da dimostrare che tale meccanismo sia sufficiente a rendere pienamente conto di tale organizzazione teleonomica).

Nel Novecento il fisico James Jeans ha scritto:

Noi scopriamo che l'universo mostra segni di un potere di progetto o di controllo che ha qualcosa in comune con le nostre menti individuali - non, per quello che abbiamo scoperto, emozioni, moralità o capacità di apprezzamento estetico, ma la tendenza a pensare in quel modo che, in mancanza di un termine migliore, definiamo matematico.
[James Jeans, The Mysterious Universe, Cambridge U.P., Cambridge 1931, p. 137, cit. in Davies, p. 250].

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