In quanto l’intelligenza perviene a coscienza (si possono considerare “intelligenti” numerose soluzioni trovate dalla Natura e da noi stessi per numerosi problemi, senza che si debba presupporre che tali soluzioni siano state trovate coscientemente), si può ritenere che l’esercizio dell’intelligenza consista nel rendere progressivamente consapevole l’universo di se stesso nelle sue diverse articolazioni (in quanto mondo intelligibile), cioè di renderlo presente, attuale, di farlo letteralmente ex-sistere (cfr. il rapporto tra “intelletto attivo” e “intelletto potenziale” nel pensiero arabo medioevale).
La comprensione (nòesis) attualizza l’èidos di cui è comprensione (noetòn), come la percezione attualizza ciò di cui è percezione.
- Ma in che cosa consistono questi èide, questi intelligibili che l’intelligenza coglierebbe?
L’universo in se stesso (la “cosa in sé”), in quanto ordine implicato, può essere immaginato, come una lastra olografica o come il punto all’infinito della prospettiva (in senso tecnico, rinascimentale) che fa apparire l’universo come mondo.
Tale punto inesteso (o tale “lastra”) va concepito come tale da contenere in sé tutte le informazioni necessarie e sufficienti a proiettare il mondo, l’immagine olografica ovvero quell’ordine esplicato, che scaturisce dall’interazione dell’universo con se stesso attraverso la coscienza.
Possiamo rappresentarci l’ordine implicato anche (con le avvertenze di cui sopra) come il “programma” (l’insieme ordinato di algoritmi in senso informatico) l’esecuzione del quale costituisce l’ordine esplicato.
Le informazioni contenute nella “lastra olografica” ovvero nel programma ovvero nell’ordine implicato costituiscono un cosmo intelligibile (noetòn), di cui il cosmo percepibile (aisthetòn) è la manifestazione (l’esplicazione).
Possiamo bensì chiamare “principi”, “idee” o “forme” le informazioni (che possiamo rappresentarci come complesse “figure di interferenza” in una lastra olografica) contenute nell’ordine implicato (il “cosmo intelligibile” dei platonici), ma alle seguenti condizioni.
Innanzitutto, come suggerisce la tradizione (neo)platonica, l’ordine implicato o mondo intelligibile, se fosse reso manifesto, si mostrerebbe come contraddittorio. Ciascun “idea”, in cui esso si articola, è e non è tutte le altre.
Giamblico, ad esempio, ricorda
Nel mondo intelligibile movimento, quiete, identità e alterità co-esistono [syn-hypàrchousin] insieme con l'essere. L'opposizione nell'essere non è parziale, ma simultanea [hàma], e ciò che riceve l'opposizione [cioè una qualità diversa da sé] è inteso in senso differente dal sostrato delle cose composte. Nel mondo sensibile, dove ricorrono intervalli, la sostanza è una cosa e l'accidente qualcos'altro [sicché p.e. una casa può essere bianca, senza contraddizione, anche se "essere casa" ed "essere bianco" sono cose diverse: la casa, in questo esempio, sarebbe il "sostrato" della qualità], ma tra le realtà più semplici [intelligibili, afferenti all'ordine implicato] non vi è distinzione tra ciò in cui qualcosa è presente e ciò che è presente in qualcosa. Una cosa non è nell'altra, ma tutte sono [contraddittoriamente!] una". [cit. in Simplicio, Sulle categorie, 116, 26 ss.].
Ecco perché il mondo intelligibile deve rimanere necessariamente implicito, inconscio, non manifesto nel suo insieme.
Si devono supporre diversi gradi di “profondità” nell’ordine implicato, che è anche un ordine gerarchico.
N.B. La moderna nozione di “gerarchia” deriva dall’uso che di questa parola (“ierarchìa“, che si può intendere come “ordine sacro”, discendente da una primo principio o arché) fa lo Pseudo-Dionigi fin dal titolo delle sue fondamentali opere Gerarchia celeste e Gerarchia ecclesiastica (probabilmente scritte nel Vi sec. d. C.). Ora, proprio nella prima di queste opere il termine si riferisce all’ordine in cui sono disposti i cori angelici, i quali sono non altro che la reinterpretazione cristiana degli intelligibili divini di cui parlano Proclo, Damascio e altri (neo)platonici; la versione originaria, dunque, di quello che qui ho chiamato ordine implicato.
- Nella profondità massima, abissale, dobbiamo immaginare che si trovino alcuni principi, che, sebbene siano al di là di ogni comprensione (ogni tentativo di pensarli sfocia in antinomie), sono necessari in ogni mondo possibile (anche se non è possibile dimostrarli tali in un numero finito di passi): essi stabiliscono le regole inflessibili in base alle quali tutto diviene (p.e. non è possibile viaggiare a ritroso nel tempo, superare la velocità della luce, cadere dal basso verso l’alto ecc.).
- Tra i principi necessari e le forme ultime possiamo immaginare che si trovino forme “intermedie”, valide in alcuni mondi possibili (tra loro non compossibili), senza per questo essere assolutamente necessarie (p.e. le specie “quercia”, “canguro” ecc., che, interferendo con altre specie o essenze e con numerosi altri fattori, determinano qui e ora l’apparire di questa quercia, di quel canguro ecc.).
- Verso la superficie del mondo intelligibile, a “contatto”, per così dire, con l’ordine esplicato, dobbiamo immaginare che si trovino alcune “forme”, che non sono altro che il lato immediatamente implicato (nascosto) in (o sotto) ciò che appare (p.e. l’algoritmo o la figura di interferenza che fa sì che un certo cubo, roteando, mostri globalmente sei facce, anche se, di volta in volta, ne appaiono solo tre; l’algoritmo che fa sì che se un determinato fotone appare con una certa polarizzazione anche il suo gemello, entangled, presenti la medesima polarizzazione; l’algoritmo – o il complesso di algoritmi che possiamo chiamare “campo morfogenetico” – che, regolando la differenziazione cellulare di una certa ghianda, col decodificarne il genoma, fa sì che essa diventi quercia e non abete ecc.): tali forme “ultime”, ovviamente non necessarie in tutti i mondi possibili, non sono altro che l’origine immediata (il lato nascosto) di ciò che appare. Tali forme, sebbene contingenti, sono dunque necessarie a preservare la coerenza dell’ordine esplicato, secondo i principi più generali, così come esso effettivamente (o attualmente) è (ne costituiscono la potenza).
Ciascuna “idea” è co-determinata da ciascuna e da tutte le altre (in particolare da quelle che le sono gerarchicamente sovraordinate), poiché ciò che in essa è rilevante non è soltanto la forma che essa proietta nell’ordine esplicato (p.e. la forma di questo canguro), ma anche la relazione costitutiva (senza la quale quell’idea non sarebbe quell’idea) che essa intrattiene con tutte le altre idee (ciò fa sì che la forma p.e. del canguro appaia, nel tempo, funzionale, in determinati ambienti, alla sopravvivenza e alla riproduzione degli individui che la esplicano). Ciò è ben rappresentato dall’immagine della lastra olografica, che è tale che in ogni sua parte è presente l’intero (le figure di interferenza di cui è costituita sono tra loro finemente intrecciate).
- Ma da dove derivano queste idee, come si sono formate?
Apparentemente ciascuna forma (ad es. quella del canguro) è stata il frutto di una lunga evoluzione. Sappiamo tuttavia che tale evoluzione si è svolta in tempo puramente virtuale. Essa traduce plasticamente il legame genealogico tra le diverse forme.
Come questo determinato elettrone non avrebbe questa determinata proprietà se il suo gemello entangled non avesse quella complementare, così questo determinata specie di fiore non avrebbe questi determinati organi sessuali se questa determinata specie di ape non potesse impollinarlo inconsapevolmente.
- Ma l’intelligenza come coglie queste relazioni?
Intuitivamente (come noûs) o come semplici ipotesi (come diànoia), adottando “paradigmi” (altro sinonomo di “idee” in Platone) interpretativi.
In questa forma l’intelligenza, dati i limiti della conoscibilità del tutto, è sempre parziale, produce modelli di universo aporetici (ipotetici), in funzione pratica, simili a proiezioni su un piano di una superficie sferica.