Perché desideriamo qualcosa se siamo già tutto?

mancanza

Non facciamo esperienza soltanto della separazione (sebbene illusoria) tra “noi” e gli “oggetti”, ma anche della mancanza a cui tale separazione ci espone. È come se la separazione stessa che ci fa nascere come individui suscitasse immediatamente in noi la nostalgia per l’unità perduta (tra ciascuno di noi e il tutto).

Ci rappresentiamo il Tutto di cui manchiamo come “qualcuno” o “qualcosa” (Dio o Principio), senza poterlo comprendere a fondo, non foss’altro perché ne siamo parte e non possiamo trasformarlo in un oggetto (il Principio, come il big bang, non si può stagliare, come un oggetto, da uno sfondo, poiché è questo stesso sfondo!).

Tutt’al più se ne possono rilevare tracce (la “radiazione cosmica di fondo”)…

Questo è il de-siderio originario che, in noi, si manifesta come amore. 

Vi sono indizi precisi che questo amore saldi l’universo a se stesso attraverso legami infrangibili: sono le interazioni fondamentali (nucleare forte e debole, elettromagnetica, gravitazionale) – forse sarebbe meglio dirle “attrazioni” – a cui possiamo aggiungere il legame più sottile e fondamentale di tutti: l’entanglement quantistico che – si può congetturare – lega non localmente ciascuna particella subatomica con tutte le altre. Il che suggerisce che, se fosse possibile osservare queste particelle all’interno di un sistema di riferimento puramente matematico, fuori, cioè, da ogni prospettiva di tipo fisico, il big bang non avrebbe mai avuto luogo (le particelle sarebbero tutt’ora una sola “particella” originaria, lo stesso Principio).

In generale, queste interazioni, dànno origine, localmente, a “campi di forze”, mettendo in “tensione”  le parti attorno alle quali si configurano tali campi di forze (si tratti di masse, di cariche elettriche, di particelle originariamente unite, poi separate ecc.). Ciò significa che tali parti tendono a cancellare l’intervallo spaziotemporale che le separa, cancellando il campo di forze medesimo.

Ora, tale convergenza, nella percezione che ne abbiamo, si sviluppa nel tempo.

Se ammettiamo che il “tempo” si distingua dalle altre dimensioni dello spazio solo per la percezione che ne abbiamo (ossia presupponga alcunché di “vivente” nella percezione del quale, soltanto, il tempo procede in una determinata direzione, altrimenti esso sarebbe indistinguibile da una “quarta” o “ennesima” dimensione dello spazio), potremmo riconoscere che, se facciamo astrazione dal tempo apparente in cui la convergenza si sviluppa,  le parti di qualsivoglia campo di forza sono  già, eternamente, “uno” (sono già in atto ciò che, per ora, appaiono essere solo in potenza).

Dipende, in altre parole, dalla percezione di qualcosa o di qualcuno che appaiano “campi di forze” (che le cose non appaiano come già sono).

In ciascuno di questi campi di forze il desiderio di convergenza delle parti, che si esprime attraverso la tensione tra loro, potrebbe essere intesa come la nostalgia dell’unità originaria.

Consideriamo, infatti, quanto segue.

Si dà sempre un sistema di riferimento in base al quale le parti che interagiscono in un campo di forze non si sono mai separate dalla loro originaria unità.

Supponiamo che il tempo (quello che appare come tale nella percezione di qualche vivente) possa scorrere in direzioni opposte a seconda della prospettiva (assunta da questo o quel vivente). Quello che appare, in una determinata prospettiva, separazione (per esempio delle parti dell’universo le une dalle altre “dopo” il big bang), può apparire, in altra prospettiva, convergenza (e viceversa).

In un sistema di riferimento “fuori del tempo” (in base al quale, cioè, il tempo fosse trattato come un’ennesima dimensione omogenea alle altre dimensioni dello spazio), ossia sotto un profilo esclusivamente matematico (non fisico), non si dànno né separazione, né convergenza, ma si dà solo una figura inclusiva di tutte le sue apparenti “evoluzioni” o “trasformazioni”.

Odio e amore (Empedocle) potrebbero essere le due facce della stessa medaglia (dello “sfero”, cioè di “ciò che è”).

In estrema sintesi: poiché io sono (matematicamente) il mondo (e, nel mondo, questo o quel simbolo del tutto), ma non so (o non ricordo) di esserlo (esso mi appare, infatti, come altro), lo desidero, esso mi appare bello (mundus), ne sono (fisicamente) attratto.

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di Giorgio Giacometti