Come abbiamo visto, l’evoluzione della vita, da cui dovrebbe essere scaturita la coscienza, presuppone il tempo, dunque, circolarmente, la coscienza.
Ma, anche se la vita non presupponesse la coscienza, l’intelligenza (che per lo più si associa alla coscienza) ne sarebbe un risultato del tutto improbabile, perché la seconda legge della termodinamica non favorisce un incremento di complessità come risultato della selezione naturale, piuttosto il contrario.
In particolare l’intelligenza non può essere spiegata soltanto per i vantaggi che fornisce all’organismo che ne è dotato.
Si registrano, infatti, certi “processi cognitivi” superiori che non possano aver costituito un concreto vantaggio nella lotta per la sopravvivenza.
Pensiamo solo ai processi cognitivi che mettiamo in atto, con successo, per comprendere l’universo. Che vantaggio ne avremmo ricevuto, in età preistorica, per la nostra sopravvivenza? Sarebbero state sufficienti capacità molto meno avanzate, adeguate allo sviluppo tecnologico raggiunto dall’uomo durante le prime fasi dell’ominazione.
Come scrive John Barrow:
Perché i nostri processi cognitivi dovrebbero essere indirizzati verso una ricerca che è un lusso, verso la comprensione dell'intero universo? Perché proprio noi? Nessuna di queste raffinatissime idee ci offriva una vantaggio selettivo da sfruttare durante il periodo preconscio della nostra evoluzione [...]. È davvero un caso fortuito che le nostre menti (o almeno quelle di alcuni di noi) siano calibrate per sondare in profondità i segreti della natura. [John Barrow, Teorie del tutto, p. 172]