1.
Secondo Aristotele la definizione è “dichiarazione dell’essenza”[1].
1.1.
L’essenza appartiene alle cose di
cui c’è definizione.
1.1.1.
E non c’è definizione quando c’è
un termine che si riferisce [semplicemente] a qualcosa: in questo caso tutte le
parole sarebbero definizioni perché le parole indicano sempre qualcosa
1.1.1.1.
e anche “Iliade” sarebbe una definizione.
1.1.2.
Ma c’è definizione solo quando un termine
significa qualcosa di primario, il che accade quando si parla di cose
che non possono essere predicati di altre cose [Aristotele, Metafisica,
VII, 4, 1030a6].
1.1. Per definire l’essenza di qualcosa, secondo il metodo aristotelico, devo indicarne
1.1.1. il genere prossimo e
1.1.2. la differenza specifica[2].
1.1.2.1. Il genere è “il soggetto a cui si attribuiscono le opposizioni e le differenze specifiche”[3], cioè sotto il quale sono comprese diverse specie.
1.1.2.2. Il genere prossimo è il genere più vicino alla specie da definire.
1.2.1.1.2..
F Un gatto può essere un persiano o un siamese
(tra loro opposti o, almeno, differenti): il cane, soggetto, è il
genere (prossimo) di cui gli altri due termini indicano due specie.
1.2.1.2.2..
F Ma anche un felino può essere un gatto o una tigre:
in questo caso il soggetto, che funge sempre da genere, è diventato un termine
dotato di maggiore estensione di “gatto” e il “gatto” ora funge da
specie.
1.1.2.2.2.1.
Se ne desume che genere e specie, a differenza che nella moderna
biologia, dal punto di vista filosofico, sono termini relativi[4].
1.1.2.3. La differenza specifica è appunto la differenza che caratterizza una specie rispetto al genere di appartenenza.
1.1.2.4.
F Se devo definire l’uomo
1.2.1.1.4..
non ricorrerò a generi non prossimi,
a cui pure l’uomo appartiene, come vivente o cosa,
1.1.2.4.1.1.
dicendo quindi che “l’uomo è una cosa o un
vivente che ecc...” (partirei da troppo “lontano” e farei un’enorme fatica a
definire);
1.2.1.2.4..
ma ricorrerò ad animale (oggi
addirittura a primate, il
“gruppo” di cui fanno parte solo uomini e scimmie):
1.2.1.3.4..
quindi come differenza specifica sceglierò
un proprietà dell’uomo che appartiene solo a lui e a nessun altro animale,
quindi
1.1.2.4.3.1.
non ad
esempio il fatto che sia viviparo (cioè che abbia figli che nascono vivi
e non da uova)[5],
1.1.2.4.3.2.
quanto il fatto che sia razionale
(supponendo che sia il solo animale razionale o che, se ce ne fossero altri,
anche questi debbano essere considerati “uomini”),
1.1.2.4.3.2.1.
dicendo quindi che “l’uomo è un animale
razionale”.
1.1.2.4.3.3.
Se poi non fosse noto il significato di
“animale”, a sua volta definirei con lo stesso metodo animale (magari questa
volta ricorrendo a vivente) e così via, estendendo sempre più il campo.
1.1.2.5.
F Analogamente se devo definire il triangolo
1.2.1.1.5..
non ricorrerò a generi non prossimi,
a cui pure il triangolo appartiene, come cosa o figura,
1.2.1.2.5..
ma ricorrerò a poligono regolare;
1.2.1.3.5..
quindi come differenza specifica sceglierò
un proprietà del triangolo appartiene solo ad esso e a nessun altro poligono,
quindi
1.1.2.5.3.1.
non ad
esempio il fatto che sia piano,
1.1.2.5.3.2.
quanto il fatto che abbia tre angoli.
[1] Aristotele, Analitici posteriori, II, 3, 90b30.
[2] Cfr. Aristotele, Topici, I 8 103b15.
[3] Aristotele, Metafisica, V, 28, 1024a30.
[4] In biologia, infatti, il gatto non è mai genere di altre specie, ma è sempre, semplicemente una specie. Le sue “sottodivisioni” come “siamese” e “persiano” sono indicate come razze. Genere, specie, razza, come le altre categorie, quali classe, phylum, ecc. , in biologia, sono “fisse”, si riferiscono cioè a determinati oggetti e non ad altri. In filosofia, invece, genere e specie indicano semplicemente di volta in volta la classe sovraordinata e la classe subordinata indipendentemente dal “livello” a cui ci si riferisce, sicché lo stesso “oggetto”, per es. “gatto”, può essere genere o specie a seconda che lo si rapporti a “siamese” o a “felino”.
[5] L’uomo è senz’altro un animale viviparo ma non tutti gli animali vivipari sono uomini (tutti i mammiferi, per esempio, lo sono). Perciò “animale viviparo” non definisce l’uomo, cioè non stabilisce il “confine” tra l’uomo e le altre cose.