1.
L’ideale dell’analisi dei presupposti è di pervenire a principi (primi), privi di presupposti,
su cui si possa fondare (tali principi si possono considerare, infatti,
anche fondamenti) il sapere e, in particolare, l’opinione da cui si era
partiti.
1.1.
Non c’è accordo sulla questione se la filosofia
pervenga o meno a tali principi di spiegazione di tutta la realtà. Oggi si
tende a escluderlo.
1.2.
La filosofia non si accontenta dei presupposti o
ipotesi da cui muovono le diverse scienze,
ma si chiede ostinatamente che cosa essi
siano, in che relazione siano gli uni con gli altri ecc.
1.2.1.
Questo significa che la filosofia non si accontenta di
un sapere parziale, come quello delle scienze particolari, che non solo non
sanno tutto di tutto, ma neppure tutto di qualcosa, ma sanno soltanto
qualcosa di qualcosa, cioè qualcosa dal loro particolare punto di vista (per
esempio che cosa sia l'animale, ma solo, per esempio, in relazione al vivente,
non in relazione all'ente in generale). Se so che x è y, ma non
so che cos'è y posso dire di sapere che cos'è x? Se so che l'uomo
è un animale intelligente, ma non so che cosa sia l'intelligenza, posso dire di
sapere che cos'è l'uomo? E se so che l'intelligenza è la capacità di intendere,
ma non so che cosa sia una capacità posso ancora dire di sapere che cos'è
l'uomo? In definitiva, per sapere una cosa qualsiasi, il che significa sapere
quale relazione tale cosa intrattiene con tutte le altre, bisogna prima che
conosca tutte le altre.
1.2.1.1.
Ciò implica che, contrariamente a quello che si crede,
non è possibile conoscere la parte prima del tutto, l'effetto prima della causa
e, paradossalmente, che fuori della filosofia non c'è sicura scienza (cioè
compiuta, esauriente circa i propri oggetti), sebbene la filosofia sia lungi
dall'essere una scienza, limitandosi a ricercare, interrogandosi, un sapere che
le sfugge.
1.2.1.2.
Che la filosofia indaghi il tutto, il generale è
attestato dalla tradizione relativa alle origini
della filosofia.
1.1.2.1.2..
Di colui che è considerato il primo filosofo,
Talete di Mileto (colonia greca della Ionia, costa dell’Asia minore), del sec.
VII a. C, riferisce Aristotele quanto segue:
1.2.1.2.1.1.
Talete [...] dice
che il principio [di tutte le cose] è
l’acqua desumendo indubbiamente
questa sua convinzione dalla costatazione
che il nutrimento di tutte le cose è umido [...]. Ora, ciò da cui tutte le cose [pànta] si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse
dunque questa convinzione da questo fatto e dal fatto che tutti i semi di tutte le
cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose
umide[1]
1.1.2.2.2..
Del secondo filosofo di cui ci parla Aristotele,
Anassimandro (VI sec. a. C.) discepolo di Talete, Simplicio (autore tardo)
riferisce:
1.2.1.2.2.1.
Anassimandro di
Mileto [...] affermava che principio e elemento delle cose è l’infinito (àpeiron), introducendo per primo il termine principio (arché); e
diceva che esso non era né acqua [come diceva invece Talete], né un altro di
quelli che si chiamano elementi, ma un’altra natura infinita da cui provengono tutti i cieli e gli universi in essi
contenuti[2]
1.1.2.3.2..
Da queste testimonianze vediamo che:
1.2.1.2.3.1.
la filosofia ha avuto fin dalle origini per argomento
il tutto,
1.2.1.2.3.2.
la filosofia procede («desunse») in modo autonomo rispetto al senso comune
(per esempio quello legato alla tradizione religiosa), ossia procede logicamente o secondo «ragione»[3],
1.2.1.2.3.3.
la filosofia ricerca il principio o l’origine (arché) del tutto allo scopo di spiegarlo, per renderne ragione, in ultima analisi per conoscerlo veramente.