Per giustificare l'adozione delle nuove tecnologie telematiche nella didattica disciplinare (in particolare della filosofia) non si può non prendere le mosse dal contesto in cui la scuola italiana è immersa, un contesto che, per una serie di ragioni che non è questa la sede di approfondire, non sembra favorire come un tempo la motivazione all'apprendimento scolastico, in tutti i settori disciplinari.
Si pensi soltanto al problema della cosiddetta dispersione scolastica, "fenomeno complesso, non riconducibile ad interpretazioni univoche secondo un modello deterministico causa-effetto e [che] va analizzato secondo un modello sistemico" (dalla Circ. del Ministero della Pubblica Istruzione, n. 257 del 1994), e tuttavia sempre più attribuito, piuttosto che a ragioni di carattere sociologico, a crescenti carenze nell'ordine della motivazione (la stessa circolare parla del resto di "disagio e malessere che si esprimono a diversi livelli nel rapporto scuola-utenti").
In questo quadro si sottolinea, pressoché universalmente, l'esigenza di promuovere tutte quelle forme di innovazione in campo didattico che possano contribuire a rimotivare gli allievi ad apprendere.
In questa direzione va, ad esempio, la proposta di miglioramento dell'organizzazione scolastica e della stessa motivazione dei docenti avanzata da Romei, che individua nel "malessere degli insegnanti" una "condizione determinante del malessere degli studenti" (Romei 1999, p. 22).
Bisogna, tuttavia, prestare attenzione al fatto che gli apprendimenti a cui si intende motivare gli allievi siano effettivi, ovvero adeguati ai fondamenti epistemologici della disciplina a cui si riferiscono.
"La scuola educa in quanto insegna contenuti disciplinari [...] Le criticità sociali emergenti devono essere stimoli per ripensare significato e valore formativo delle discipline, non per introdurre 'altre' cose da fare, in modo inevitabilmente superficiale e istituzionalmente dilettantistico. Si ribadisce così la definizione dell'identità professionale dell'insegnante come tecnico dell'insegnamento disciplinare; il suo essere educatore significa - a differenza degli altri educatori con i quali ogni persona ha a che fare nel corso della vita - che aiuta gli studenti a crescere mettendoli in condizione di acquisire un bagaglio di 'attrezzi' specifici, selezionati in base alle capacità (congetturate) di sviluppare in essi abilità superiori e transdisciplinari. E si annette esplicitamente a questa ridefinizione di ruolo [...] un importante valore motivazionale" (Romei 1999, p. 203).
Per motivare ad apprendere - ma ad apprendere in senso disciplinarmente caratterizzato - pare che la strategia più efficace consista nel cercare di conferire la massima significatività possibile, a partire dal vissuto degli allievi, non solo e non tanto ai cosiddetti "contenuti", quanto soprattutto ai metodi e agli stili propri di ciascuna disciplina.
Si pensi alla nozione di apprendimento significativo in Ausubel 1991, p. 198: un apprendimento è significativo quando si inserisce nella struttura cognitiva esistente "in relazione a un substrato di concetti, principi e informazioni precedentemente appresi, che rendono possibile l'emergere di nuovi significati e ne facilitano la ritenzione".
Sotto questo profilo, dunque, appaiono benvenute tutte quelle particolari forme di innovazione didattica che sembrano favorire la messa in gioco del vissuto degli allievi, sviscerando e rinforzando quegli elementi (domande, bisogni, atteggiamenti, stili, conoscenze, competenze) che costituiscono l'anticipazione più o meno ingenua di determinati tratti disciplinari (soprattutto di quelli fondanti).
Ora, si ha motivo di ritenere che proprio il ricorso oculato a strumenti
di tipo telematico e multimediale possa favorire l'"aggancio"
tra le modalità di conoscenza relativamente ingenue degli allievi
e quelle proprie della discipline scolastiche e, in particolare, della filosofia.
Questi strumenti, infatti,
Adottiamo qui lessico e istanze della cosiddetta "programmazione
per concetti" (cfr. Damiano 1994),
per la loro efficacia espositiva, sospendendo, tuttavia, provvisoriamente il
giudizio sulla validità della strategia a cui si riferiscono, che, come
è noto, ha fondamenti cognitivistici e neopositivistici tutti da ridiscutere.
L'innovazione didattica non può non tener conto del cambio di paradigma a cui stiamo assistendo per quanto riguarda l'interpretazione dei processi di comunicazione e di apprendimento.
Dal paradigma trasmissivo (Shannon) si passa a un paradigma interattivo
(Ghiglione, Kraut).
Non si tratta più di trasmettere sapere ma di costruirlo, interagendo
con i discenti.
È intuitiva la funzione che possono assolvere gli strumenti telematici e multimediali per la costruzione condivisa del sapere.
All'interno di questo nuovo paradigma il modello più convincente
appare quello ermeneutico-semiotico (Goodman,
Petöfi) .
Un'implementazione operativa interessante di questo modello, specialmente per
quanto riguarda attività di ricerca adatte a gruppi di allievi post-adolescenti
(con particolare riguardo alla ricerca filosofica), potrebbe essere senz'altro
quella di un cooperative learning concepito come group investigation
(Hertz-Lazarowitz, Sharan).
L'attenzione ai fondamenti epistemologici dello "specifico disciplinare",
tuttavia, dovrebbe dissuadere da un'applicazione acritica e meccanica di queste
proposte, che possono rappresentare, piuttosto, una ricca fonte di stimoli e
suggerimenti.
In un contesto in cui gli allievi appartenenti al medesimo ordine di scuola, alla medesima tipologia di istituto e finanche alla medesima classe risultano sempre più differenziati sia dal punto di vista culturale che dei livelli delle rispettive prestazioni (si pensi solo all'integrazione degli stranieri), se si vuole dare corpo al paradigma interattivo non si può non pensare a forme nuove di individualizzazione dell'insegnamento.
A tale obiettivo sembra puntare anche il progetto di riforma della scuola, in base al quale, anche sul piano lessicale, le vecchie unità didattiche vengono sostituite da unità di apprendimento (con l'accento che cade sul soggetto che apprende piuttosto che su quello che insegna) e viene prevista la costruzione di un portfolio individuale delle competenze maturate da ciascun allievo.
Si vedano a tale proposito le Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati delle Attività Educative nelle Scuole dell'Infanzia e le Indicazioni Nazionali per i Piani di studio personalizzati nella Scuola Secondaria di I° grado, resi pubblici dal MIUR dal 05/04/03
È ben noto come il perseguimento dell'obiettivo di una didattica autenticamente individualizzata si scontri quasi inevitabilmente con un'organizzazione dello spazio e del tempo-classe che rende tale didattica concretamente impraticabile se non a costi altissimi (in termini, per esempio, di riduzione del tempo dedicato allo svolgimento del programma obbligatorio o di incremento esponenziale del carico di lavoro del docente).
Il ricorso ponderato e sapiente ai nuovi strumenti telematici, certo, a determinate condizioni di accessibilità ai medesimi, può contribuire a risolvere questo tipo di problema, accelerando enormemente i tempi dell'interazione allievo-docente e allievo-allievo.
L'insegnamento della filosofia non è esente dalla caduta di motivazione che investe più generalmente le discipline scolastiche e dal bisogno di venire ripensato a partire dal vissuto degli allievi, al limite di ciascun singolo discente, e dalla loro effettiva domanda di apprendimento.
Da tempo si è puntato il dito contro lo studio della filosofia
come apprendimento mnemonico delle "opinioni" degli autori,
riferite in rigida sequenza cronologica, spesso senza conferire particolare
attenzione alle argomentazioni con cui vennero di volta in volta sostenute.
Tale studio non solo appare sterile e demotivante, ma - quel che mette conto
di rilevare - tradisce l'essenza stessa della filosofia dal punto di
vista del suo "metodo" o, forse ancora meglio, del suo "stile".
Dalla filosofia come dottrina o come aggregato di dottrine (a volte contrapposte l'una all'altra in modo puramente estrinseco, spesso a solo scopo mnemonico) si cerca sempre più di passare al filosofare come stile di apprendimento e di discussione dei problemi, come attività.
A questo scopo il rapporto con gli autori resta centrale, ma di questi si recuperano allora i testi, piuttosto che le sintesi, come modelli di ragionamento, di riflessione, di discussione di problemi, senza peraltro rinunciare a conferire senso anche alla loro dimensione storica.
Le indicazioni della più avanzata ricerca didattica, in
campo filosofico, sembrano paradossalmente evocare l'antica idea gentiliana
(ben poco realizzata nella stessa scuola che dalla riforma di Gentile prese
il nome) del "laboratorio
filosofico".
Ora, proprio il ricorso agli strumenti telematici appare la via più efficace, perché più efficiente, di realizzare compiutamente quel cambio di prospettiva nell'insegnamento della filosofia che la ricerca didattica suggerisce, ma che spesso è reso opaco o impedito dalla "forma" o meglio dalla "struttura" degli strumenti tradizionali (il manuale, la stessa antologia).
L'esigenza generale di individualizzazione dell'insegnamento
è ancora più viva per la filosofia, nella quale, secondo il modello
della maieutica socratica, il "sapere" più che impartito
dal docente o da fonti comunque esterne, dovrebbe "nascere" dallo
stesso soggetto discente, opportunamente sollecitato da domande.
E' chiaro che per realizzare qualcosa di lontanamente paragonabile a questo
modello si devono immaginare contesti di apprendimento "uno a uno",
docente - allievo, o, in una fase più avanzata, allievo - allievo,
quali quelli resi possibili dai nuovi mezzi telematici.
Il ricorso allo strumento telematico sembra rispondere
all'esigenza di favorire al massimo grado la documentazione e, quindi,
la capitalizzabilità e trasferibilità delle esperienze
didattiche realizzate, in tutto o in parte, attraverso questo mezzo.
Questa esigenza retroagisce fecondamente sulle precedenti: l'allievo e lo stesso
docente sanno che quanto "fanno" resterà in forma di prodotto
e, per quanto importanza sia assegnata comunque al processo, sono
senz'altro più motivati nella loro reciproca azione.
Inoltre l'aspetto della documentabilità e, quindi, trasferibilità investe in modo essenziale anche la valutazione del progetto (che ha rappresentanto il momento esplorativo di una vera e propria ricerca-azione).
Le particolari modalità telematiche di realizzazione di porzioni importanti del progetto ne hanno fatto l'occasione per sperimentare una forma, limitata, di blended e-learning, rispondente al più generale bisogno della scuola di accostarsi a questa forme di insegnamento, in vista anche della sfida posta dalla prospettiva della formazione permanente.